Uno su due non sa leggere un conto corrente. Bankitalia: scuola per gli “analfabeti dei soldi”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 28 Aprile 2011 - 14:47 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La metà delle famiglie italiane non riesce a riconoscere il saldo del conto corrente quando gli viene mostrato un estratto conto. Si rigirano il foglio tra le mani e non sanno trovare la cifra che indica quanti soldi hanno sul conto. Eppure quasi tutte le famiglie hanno un conto corrente, molte un mutuo, tante, anche s dimeno, un investimento in corso. E ancora, il 50% delle famiglie pensa che se detiene un fondo azionario e la Borsa crolla, allora o diventa più ricca o non sa cosa gli succede. Solo un quarto indovina che se investe mille euro in un conto corrente al 2% senza costi, alla fine dell’anno disporrà di 1.020 euro. Tra quelle che non sanno leggere l’estratto conto poi, il 13% ha investimenti in obbligazioni o in fondi o in azioni, e forse c’è da chiedersi come mai. Siamo uno dei paesi con la maggior quota di risparmio privato, ma non siamo in grado di leggere nemmeno l’estratto del conto corrente. La cosa è paradossale, anzi è paradossalmente normale. Parafrasando un vecchio detto: “scarpe fini, cervello pigro”.

L’ignoranza finanziaria delle famiglie viene svelata da un’indagine della Banca d’Italia che fotografa una situazione scoraggiante ma non unica. Non sono gli italiani infatti gli unici che zoppicano sulla grammatica finanziaria. Nelle stesse condizioni si trovano anche gli Stati Uniti e molti altri paesi europei che, non a caso, stanno mettendo in cantiere programmi di “alfabetizzazione” finanziaria. Alfabetizzazione che diventa sempre più necessaria in quanto la quota di interazione delle famiglie con la finanza è in continua crescita.

Oggi lo stock dei mutui ipotecari in Italia è della stessa entità dei prestiti a medio e lungo termine erogati alle imprese; negli Stati Uniti già eccede il volume del debito corporate. Da noi il mercato del credito al consumo è più grande dell’industria di private equity e vi sono più sportelli bancari che pizzerie. Le famiglie sono diventate i migliori generatori di profitto per gli intermediari sia quando investono i loro risparmi sia quando prendono un prestito personale. L’interazione con i mercati e gli intermediari finanziari è diventata così intensa che tra un prelievo al bancomat, l’addebito automatico di una bolletta, la consultazione online dei propri investimenti, il ritiro di un libretto di assegni, un pagamento con carta di credito, l’investimento di qualche risparmio, la richiesta di un nuovo prestito o il pagamento della rata di uno già in essere, forse non passa giornata che una famiglia non abbia a che fare con il mercato finanziario.

Ciò che rende le famiglie diverse dalle imprese non è il fatto che un imprenditore ne sa di finanza più di un capofamiglia, anche se verosimilmente è così. La vera differenza che c’è tra l’impresa e  le famiglie consiste nel fatto che la prima ha una scala sufficiente per permettersi di assumere un esperto o perfino dotarsi di un ufficio finanza, la stragrande maggioranza delle famiglie al contrario non possono e devono cavarsela da sole. Questo le rende facili prede di cattivi consiglieri o di intermediari interessati in primis ai propri profitti e in subordine agli interessi dell’investitore/cliente. Molti Paesi hanno iniziato ad affrontare questo problema complesso spinti a reagire anche dagli abusi emersi durante la crisi finanziaria.

Nel 2010 gli Stati Uniti hanno creato un’apposita agenzia con la specifica missione di vigilare sui mercati per i servizi finanziari alle famiglie e di mettersi al servizio dei privati cittadini ogni volta che vi fanno ricorso. La migliore linea di difesa da abusi e da errori è però un individuo informato e così per il lungo periodo il Tesoro ha in cantiere un vasto programma di educazione finanziaria da varare nelle scuole e nei posti di lavoro. In Italia, a parte gli utili interventi della Banca d’Italia per rendere più comprensibile l’informazione che gli intermediari distribuiscono ai clienti e per regolare i conflitti di interesse, manca una strategia per affrontare la questione in modo durevole. E, come si è visto, il lodevole impegno alla semplificazione si è molto spesso tradotto in un buco dell’acqua.

Ma se è verissimo che alcune comunicazioni finanziarie non sono e restano volutamente incomprensibili, vedi l’esempio delle bollette della luce, altrettanto vero è che, almeno sugli estratti conto e l’andamento della borsa, gli italiani ci mettono del loro. Non serve Keynes per sapere che se si hanno risparmi investiti in Borsa e questa scende, anche i risparmi andranno di pari passo. Come non serve certo un economista per capire che se vengono offerti investimenti con un tasso di redditività a due cifre, in un momento come questo, nella migliore delle ipotesi si corre un alto rischio e nella peggiore si sta andando incontro ad una truffa. Prima del Madoff dei parioli già la vicenda dei bond argentini avrebbe dovuto insegnare qualcosa.