Crisi valutaria, dopo la Grecia tocca alla Gran Bretagna

Pubblicato il 3 Marzo 2010 - 12:04 OLTRE 6 MESI FA

Cominciata da Atene,  l’attuale crisi dei debiti di Stato minaccia Londra e anche se la Gran Bretagna ha fatto del suo meglio per restare al di sopra della mischia, ora però la sterlina soffre, vacilla insieme all’euro. Partito dalla Grecia, ventre molle dell’Eurozona, l’attacco valutario sta colpendo con l’altra pinza della tenaglia il colosso d’argilla dell’Europa del nord, la Gran Bretagna.

Lunedì scorso la sterlina  dopo essere scesa a 1,478 con il dollaro è risalita in chiusura a quota 1,497. A ventiquattro ore di distanza ha perso un altro mezzo punto, mentre l’euro scendeva a 1,3487 e conseguentemente si cambiava con la sterlina a 0,90. Il rapporto tra euro e sterlina è strettissimo e la tempesta valutaria che ha colpito l’euro si sta spostando anche verso la moneta britannica.

Come scrive il Financial Times, mentre «i mercati continuano a scommettere contro l’euro, in seguito ai crescenti timori di una reazione fortemente negativa dei regolatori sulle loro posizioni di trading relative al debito della Grecia», anche un’economia forte come quella di Londra è a rischio.

Londra, a differenza di Atene, non rischia l’insolvenza sul suo debito pubblico perché prima degli enormi deficit di bilancio di questi ultimi due anni e del 2010, il Regno Unito aveva un basso rapporto fra debito e Pil, a differenza della Grecia. Ora in Grecia esso si sta avvicinando al 120 per cento del Pil. Nel Regno Unito il debito prima della crisi era sul 55% del Pil, adesso è al 70% e si sta avviando all’80%.

Il deficit di bilancio inglese è al 13% del Pil, un dato molto alto proprio come quello di Atene, di gran lunga superiore, a quel che si può sapere, anche alla tanto vituperata Italia.

Fra Grecia e Gran Bretagna però c’è una differenza: la Grecia può fare appello alle banche tedesche e francesi, interessate a evitare un crollo di Atene perché detengono un’enorme quantità di titoli del debito greco; la Gran Bretagna invece non può beneficiare di aiuti esterni e la Banca centrale inglese si è già appesantita dopo aver aiutato gli istituti di credito locali.

Il problema a questo punto si sposta dal piano solo finanziario a quello ben più complesso della politica. Senza una maggioranza forte e coesa infatti Londra non può affrontare questo burrascoso periodo economico. In vista delle prossime elezioni di maggio i conservatori, fino a qualche giorno fa in netto vantaggio, avevano proposto un vero e proprio piano di austerity stile Thatcher. Ora però i laburisti sono in rimonta dopo la “truffa legale” attuata da Lord Ashcroft, il principale finanziatore dei conservatori, il quale per non pagare l’Irpef inglese sui suoi guadagni esteri, parte consistente del suo reddito, ha dichiarato di non essere residente permanente in Gran Bretagna.

Ora, mentre la Grecia ha approvato una cura da cavallo anti-deficit da 4,8 miliardi di euro, gli Stati Uniti vogliono fare luce sugli attacchi degli hedge funds americani contro l’euro, in cui c’era coinvolto anche il celebre George Soros,  il finanziere che, il 13 settembre del 1992, vendendo allo scoperto dieci miliardi di dollari di sterline fece crollare la moneta britannica.

Il Dipartimento di Giustizia Usa punta ha avviato, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, un’indagine, con la quale punta ad accertare se i colossi di investimento speculativi hanno agito insieme per favorire il calo della moneta unica e se eventualmente questo costituisca collusione. In una lettera datata 26 febbraio, il Dipartimento chiede agli hedge fund (inclusi Sac Capital Advisors, Greenlight Capital, Soros Fund Management e Paulson & Co.) di conservare le email e i dati sugli scambi relativi all’euro.

La data della lettera coincide con la pubblicazione da parte del Wall Street Journal di indiscrezioni relative a forti scommesse di primari hedge fund contro la moneta unica, in una «mossa che ricorda le azioni di trading condotte all’apice della crisi contro Lehman Brothers e altre società in difficoltà».

«La decisione del Dipartimento di Giustizia – aggiunge il Wall Street Journal – mette in evidenza l’elevata attenzione sul mondo finanziario in seguito ai recenti trading legati alla crisi della Grecia. Alcuni critici ritengono che le banche e altre società finanziarie abbiano esacerbato le difficoltà finanziarie di alcuni paesi europei, aiutandoli a mascherare i loro debiti attraverso swap e altri derivati e ora ne traggano beneficio spingendo al ribasso gli stessi titoli che hanno aiutato a creare».

E a quasi un mese di distanza sembrano profetiche le parole di Niall Ferguson sul Financial Times: «Riflettendoci bene, è giusto che la crisi fiscale dell’Occidente sia iniziata in Grecia, culla della nostra civiltà. Ben presto varcherà la Manica per sbarcare in Gran Bretagna e già ci si chiede quando toccherà l’ultimo bastione della potenza occidentale, sull’altra sponda dell’Atlantico: resta questa la domanda cruciale».