Crisi, ricchezza privata senza crescita: “agli italiani serve più concorrenza”

Pubblicato il 4 Marzo 2011 - 13:29 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Italiani ottimi risparmiatori ma pessimi investitori: è questo il ritratto che esce dall’articolo di Francesco Giavazzi pubblicato oggi dal Corriere della Sera. L’economista sottolinea come le famiglie italiane siano al primo posto nella classifica della ricchezza privata, ma in una posizione molto inferiore in quella sulla crescita.

La ricchezza netta di ogni nucleo familiare è pari a quasi otto volte il loro reddito annuale (dopo le imposte). In Germania il rapporto è di 6 volte, 7,5 in Francia. Ma negli ultimi dieci anni il reddito delle famiglie italiane è diminuito del 4%, mentre in Francia, Germania e nella media dell’eurozona è cresciuto fra il 5 e il 7%.

“Evidentemente, è la spiegazione di Giavazzi, utilizziamo male la nostra ricchezza, cioè non la impieghiamo là dove potrebbe aiutare la crescita. Alcuni ritengono che l’errore sia una distribuzione squilibrata fra lo Stato e le famiglie: troppo patrimonio privato e al tempo stesso troppo debito pubblico. E propongono di usare una parte della ricchezza delle famiglie per ridurre il debito dello Stato. Il modo per farlo è un’imposta patrimoniale straordinaria. L’effetto sulla crescita sarebbe devastante”.

Giavazzi ammette che una parte della colpa della bassa crescita italiana va addebitata alla cattiva distribuzione delle ricchezze. Ma, sottolinea, “lo squilibrio rilevante non è fra Stato e privati. È nel modo in cui i capitali si sono accumulati e come essi sono impiegati”.

Spesso, troppo spesso, secondo l’economista, i capitali sono frutto di posizioni di rendita o di ricchezza investita in imprese mature, che restano al di fuori del circuito della crescita.

La ricetta proposta da Giavazzi per far sì che il patrimonio accumulato possa diventare un motore della crescita è “abbattere rendite e protezioni, consentendo alla ricchezza di accumularsi là dove è più facile che finanzi lo sviluppo”.

E per questo, a differenza di quanto sostiene il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, non è necessario cambiare la Costituzione. “La lunghezza e l’incertezza di una riforma costituzionale non cambierebbe nulla e lascerebbe tutti tranquilli per molti anni”.

La vera soluzione è un’altra, e consiste nei microinterventi che favoriscano la concorrenza e indichino una nuova direzione di marcia:  “possono essere varati in pochi giorni e non costano nulla”.