Dagospia: Marchionne vuole mettere lo spezzatino Fiat nella Chrysler e mettere l’Italia sul piano del terzo mondo

Pubblicato il 29 Ottobre 2010 - 15:26 OLTRE 6 MESI FA

Le parole dette da Sergio Marchionne in tv domenica durante la trasmissione “Che tempo che fa” non sono state frutto di una gaffe ma la conclusione di un processo di elaborazione strategica che vuole la presenza della Fiat in Italia ridotta al pari di qualsiasi altro paese del  terzo mondo dove una multinazionale ha insediamenti produttivi.

Questa interpretazione, esposta con particolari e  dettagli dal sito Dagospia.com,  spiega meglio il senso dell’autogol di Marchionne e aggrava la rottura del rapporto tra Fiat e Italia che quell’uscita in tv aveva aperto.

Marchionne, secondo Dagospia, vuole spostare il baricentro del gruppo da Torino a Detroit, dove sembra che il suo intervento sulla già disastrata casa automobilistica Chrysler stia funzionando, anche grazie al denaro del Governo americano e al drastico taglio, accettato dai lavoratori, degli oneri di sicurezza sociale, che gravavano per 1.200 dollari ad auto prodotta.

Poiché a pensare in modo critico non si fa mai male, resta da capire l’interesse personale di Marchionne nell’operazione, al di là della gloria, e quanto la liquidazione della Fiat italiana come azienda capogruppo non abbia al fondo anche l’obiettivo di fornire le eventuali risorse necessarie a rendere meno opaco, o più brillante, il trionfo. Non si deve infatti dimenticare che i tedeschi della Mercedes, certo meno brillanti e geniali di Marchionne, hanno lasciato nella Chrysler oltre dieci miliardi di dollari.

Giornali e sindacati italiani, in modo scandalosamente superficiale questi ultimi, hanno sempre trattato l’avventura americana della Fiat in modo del tutto acritico, per cui il pubblico italiano vede la vicenda dietro un velo di assoluta opacità. Si sa anche poco del trattamento economico di Marchionne, non tanto lo stipendio, quasi una miseria in rapporto col titanico impegno, quanto i premi futuri.

Secondo Dagospia Marchionne ha esposto la sua strategia nel corso di una riunione segreta, a porte chiuse, senza testimoni, con John Elkann, principale azionista della Fiat, Gianluigi Gabetti, fedele custode dei segreti della famiglia Agnelli dai primi anni ’70, Franzo Grande Stevens, avvocato di fiducia della famiglia da ugual tempo.

Durante la riunione l’amministratore delegato avrebbe spiegato il modello da seguire. Abbandonare la città piemontese – che Marchionne, residente in Svizzera non ha mai amato – e costruire una multinazionale con il suo baricentro negli Stati Uniti. Questa nuova strutturazione permetterà in futuro alla Fiat di «tagliare i rami secchi nei paesi dove la redditività e la competitività camminano per strade diverse».

La Fiat è stata a lungo un sinonimo di industria di Stato e gli stessi Agnelli non hanno mai pensato di recidere il profondo legame dell’industria con Torino e con l’Italia. La famiglia Agnelli, rappresentata da Yaki Elkann, e la vecchia guardia dell’Avvocato, rappresentata da Gabetti e Stevens ma anche da Montezemolo, hanno dunque accolto con qualche perplessità i progetti di Marchionne. Soprattutto i due grandi vecchi hanno osservato che senza i quasi 30000 lavoratori odierni del gruppo Fiat in Italia l’azienda perderebbe i flussi di denaro contante che le permettono di operare in Borsa e sul mercato finanziario nelle condizioni odierne.

Inoltre durante la riunione si sarà sicuramente posto il problema degli ormai famosi 20 miliardi che Marchionne ha promesso di investire in Italia, senza parlare dei 6 miliardi di dollari che la Fiat deve restituire al governo americano. L’amministratore delegato italo-canadese avrebbe assicurato che la liquidità arriverà dal recente scorporo del settore automobilistico e di quello dei veicoli industriali.

Da tempo circola, infatti, la voce che la Fiat venderà in blocco il segmento dei veicoli industriali. C’è chi dice addirittura che la conclusione dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno e che in pole position si trovi un’azienda americana l’AGCO. Una volta privata la Fiat di un settore nel quale Marchionne non crede più, tutti gli sforzi saranno allora puntati su Chrysler e sui nuovi modelli automobilistici che usciranno nel 2011. A quel punto, la Fiat sarà veramente pronta fare i bagagli.