Debito pubblico: 1757 miliardi. L’italiano se ne frega, paga e non lo sa. Pensioni: “La cultura Tafazzi”

Pubblicato il 13 Ottobre 2009 - 15:39| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Palazzo Koch, sede di Bankitalia

Per pagare e morire c’è sempre tempo…Vero, ma vero anche, anzi sicuro che prima o poi si muore. E si paga anche. Anche quei 1757, 5 miliardi di euro di debito pubblico prima o poi qualcuno li pagherà. Anzi qualcuno li sta già pagando. Chi? Noi. Come noi? È debito pubblico, io che c’entro? Così pensa l’italiano tipo, anzi l’italiano e basta. È stato abituato a pensare così, educato a fregarsene del debito pubblico come cosa non sua. Figurarsi se il signor Rossi, Brambilla o Esposito tira fuori un euro per il debito. È “pubblico”, quindi astratto, incorporeo, estraneo alla “vita reale della gente”. Estraneo? Se è debito, significa che sono soldi che qualcuno ha prestato allo Stato. E li ha prestati mica gratis, in cambio vuole gli sia pagato un interesse. Ogni anno questi interessi sul debito pubblico sono tra i settanta e gli ottanta miliardi di euro. Che lo Stato paga. E dove li prende i soldi lo Stato per pagare? Dalle tasse. Quindi ogni anno i Rossi, Brambilla ed Esposito che chiedono meno tasse partono nella loro battaglia quotidiana da meno 70/80 miliardi che bisogna pagare per forza. Miliardi tutt’altro che astratti, incorporei ed estranei, miliardi tolti da buste paga, incassi, profitti, pensioni.

Magari finisse qui. Avete idea di quanto siano 1757,5 miliardi di euro? Sono tutta quanta la ricchezza prodotta in Italia in un anno più un altro 15 per cento di aggiunta. Man mano che quei 1757,5 miliardi aumentano, aumenta la possibilità di una richiesta, da parte di quelli che prestano, di tassi di interesse superiore. Quindi crescono i 70/80 miliardi di handicap iniziale. Eppure l’italiano del debito pubblico se ne frega. Nessuno chiede al governo che ha votato, di destra o di sinistra che sia, di abbassarlo questo debito. Se qualche governo prova a farlo, allora l’elettore subito lo punisce. La richiesta di massa è insieme sciocca e crudele. Sciocca perché non vede nella sua miopia che il debito già lo si paga oggi, sotto forma di interessi. Crudele perché la volontà di massa di non abbassare il debito significa trasferire il pagamento non ai politici, allo Stato o a chissà chi. Significa trasferire il debito ai figli, anzi siamo già arrivati ai nipoti.

E provate a domandare all’italiano, al signor Rossi, Brambilla o Esposito, qualunque cosa voti alle elezioni, se è d’accordo con l’innalzamento dell’età della pensione. Da destra a sinistra, dai sindacati alla Lega, dai centri sociali all’Udc, da Berlusconi a Franceschini, Di Pietro compreso, risuonerà un secco e gigantesco No. No condiviso dalla gente in nome delle aspettative, dei diritti acquisiti. E anche in nome del chi se ne frega. Chi se ne frega anche della matematica. Se lavori e paghi contributi per 35 anni e poi incassi una pensione per 15 anni, i conti più o meno tornano. Ma se versi contributi per 35 anni e poi incassi una pensione per 20/25 anni i conti sballano. Difficile, quasi impossibile da accettare, ma aritmetico: i soldi della pensione sono quelli accantonati negli anni.

Se li dividi per 15, come quando si moriva a 65 anni in media, danno una pensione diciamo di “cento”. Se invece li dividi per 20/25 anni di pensione, come ora che si muore per fortuna a 75 di media, la pensione cala a “sessanta/settanta”. quindi, se vuoi “cento” di pensione devi restare più anni al lavoro e meno anni in pensione. Elementare, matematico, indiscutibile. Eppure inaccettabile, inaccettato. Ha voglia a far di conto il governatore della Banca d’Italia Draghi: «Se si vogliono pensioni di importo adeguato per un numero crescente di pensionati occorre un significativo innalzamento dell’età media di pensionamento». La risposta della “gente” è più o meno: «Non se ne parla nemmeno». La risposta della politica e dei governi è più o meno: «Allontanate da me questo calice».

La “gente” risponde così perché pensa che tanto alla fine le pensioni così come sono qualcuno le paga. Il qualcuno è l’astratto, incorporeo ed estraneo Stato. E infatti lo Stato garantisce e finanzia una spesa previdenziale pari a circa il 14 per cento del Pil, più di tutta Europa. Cioè tra i 200 e i 250 miliardi di euro per quasi 24 milioni (24 milioni su 60 milioni di abitanti) di trattamenti pensionistici. Pensioni spesso basse, ma una pensione ogni due abitanti e mezzo neonati compresi.

Duecento miliardi che da dove vengono? Dalle tasse. Quindi l’handicap di 70/80 miliardi da interessi sul debito si accresce di almeno 50 miliardi, cinquanta su duecento e la stima è ottimistica, di differenza tra quanto il sistema previdenziale incassa e poi spende. La somma fa 120/130 miliardi. Ridurre questo handicap del 20 per cento vorrebbe dire abbassare le tasse di 25 miliardi di euro l’anno. Quanto basta per limare le aliquote Irpef e dare una mazzata all’Irap. Quello che tutti vogliono no? Dalla Cgil alla Confindustria, dal Pdl alla Lega, da Casini al Pd, dalla Confcommercio alle “Unioni” dei consumatori.

Ma in realtà nessuno lo vuole davvero: abbassare le tasse si può. Bisogna però spendere meno denaro pubblico. In sprechi certo, ma anche in sovvenzioni e facilitazioni a categorie e corporazioni. Bisogna cioè abbassare il debito pubblico. Cosa che la “società civile” neanche si sogna di chiedere e i governi neanche si immaginano di fare. E poi per abbassare le tasse bisogna andare davvero in pensione tutti a 65 anni. Non è l’inferno e neanche il purgatorio. E’, anzi sarebbe la normalità di una vita che si allunga. Ma a farlo si rischia il linciaggio politico ed elettorale.

Quindi l’Italia, l’italiano signor Rossi, Brambilla od Esposito continuano. A fregarsene del debito pubblico. Ricordate la gag di Totò che racconta: «Ho incontrato un tale, mi ha fermato, mi ha urlato, mi ha dato uno schiaffo dicendo: così impari, Pasquale…Poi me ne ha dato un altro, dicendo: prendi Pasquale…E io cosa ho fatto? Niente, mica mi chiamo Pasquale io…». Ecco l’italiano di fronte al debito pubblico fa lo stesso: si prende gli schiaffi, tanto mica è debito suo, è «di Pasquale». E fieramente si oppone alla pensione a 65 veri. Si sente in diritto, si sente abile, si sente furbo. E paga. In termini di tasse, quando le paga. In termini di figli con il lavoro precario, di figli e nipoti che avranno una mezza pensione buona per una mezza vita. Davvero abili e astuti i signor Rossi, Brambilla ed Esposito.