Donne d’impresa: Natasha Pulitzer, precursore della sostenibilità: ecco come dovrà essere l’architetto del futuro

Donne d’impresa: Natasha Pulitzer, precursore della sostenibilità: ecco come dovrà essere l'architetto del futuro

di Orietta Malvisi Moretti
Pubblicato il 22 Maggio 2022 - 22:20 OLTRE 6 MESI FA
 Donne d’impresa: Natasha Pulitzer, precursore della sostenibilità

 Donne d’impresa: Natasha Pulitzer, precursore della sostenibilità

 Donne d’impresa: Natasha Pulitzer che fin dagli anni ‘70 promuove  sostenibilità, Responsabile di Synergiaprogetti.

È in Veneto la vera antesignana della “sostenibilità” che non tutti conoscono, Natasha F. Pulitzer. Nata a Santa Fé (Nuovo Messico), architetto. Socio fondatore nel 1983, con Sergio Los, di “Synergiaprogetti”, un laboratorio di progettazione ricerca e formazione improntato all’Architettura Bioclimatica.  

Con i due figli Sophia e Pietro, oltre un secolo di architettura in famiglia, continuano la tradizione in modo innovativo. Nel 1996 all’Università di Louvain La Neuve consegue con S. Los il 13 PLEA International Award. È un premio alla carriera per aver integrato nella ricerca, nella didattica e nella progettazione professionale l’arte e la scienza dell’architettura.

In AIDDA dal 2003, nel 2006 è responsabile del tavolo di settore 2: ambiente, energia, sicurezza e smaltimento rifiuti. Anche Firenze la premia con un riconoscimento in occasione della 9° Conferenza Europea dell’Energia: Energy Markets  Sustainability in a larger, Europe. Relatrice di Convegni Nazionali e Internazionali., Docente e autore di numerosi saggi: promuove da sempre l’approccio olistico alla cultura del progetto sostenibile, con mostre, allestimenti e convegni.

Quale il punto di ripartenza, dopo la pace?

Per parlare di pace bisognerebbe decifrare le vere ragioni della guerra,  perché e per cosa si combatte. Sappiamo che aberranti falsificazioni si celano dietro a enormi interessi finanziari e intricate questioni politiche. Mi risulta congeniale proporre una riflessione sul ruolo svolto dalla progettazione – costruzione, ma anche distruzione – della vita delle comunità.  

Un progetto per la pace diversamente dalle dichiarazioni di guerra che sono sempre un atto offensivo, è un atto difensivo, azione rivoluzionaria non violenta che, essendo basata su un cambiamento improntato a principi morali, a contenuti filosofici condivisi piuttosto che a contenuti finanziari, è in sé stesso l’atto eroico della vita spirituale.

Nella sua esperienza, c’è un filo conduttore che lega sostenibilità, arte, architettura?  

Erano i primi anni sessanta quando, diplomata al liceo Artistico di Genova, ho iniziato a frequentare l’università di Architettura Iuav di Venezia. Già allora arrivavano i primi echi dalle università americane, inglesi e francesi sulla crisi ambientale. Dell’inquinamento l’aria, delle acque e delle terre. Frequentavo Sergio Los, assistente e collaboratore di Carlo Scarpa.

Fu così che entrai a far parte di un altro mondo. Si trattava di una partecipazione politica diversa da quella italiana, impegnata in quegli anni in battaglie sindacali. Noi cercavamo una risposta sostenibile alle ragioni della crisi ambientale attraverso gli strumenti dell’arte e dell’architettura, pubblicazioni, mostre e progetti bioclimatici.

Nel 1972 usciva con il titolo I limiti dello sviluppo il primo rapporto del Club di Roma, fondato da Aurelio Peccei e, composto da un network di esperti, anticipava i problemi della sostenibilità proponendo di affrontare in modo innovativo le sfide globali.

Subito dopo, lo scoppio della guerra del Kippur del 1973, ha distratto il mondo rispetto a questi problemi, inaugurando la più nota crisi energetica e tutte le guerre che ne seguiranno fino a oggi per contendersi il petrolio e minerali rari del pianeta.

A fianco delle collaborazioni internazionali, la partecipazione al Progetto Finalizzato Energetica (1975/85) ci ha consentito di approfondire l’approccio bioclimatico e multi-scala alla progettazione. Il dibattito sui problemi ambientali ed energetici rimarrà marginale fino a quando essi inizieranno a ripercuotersi in modo allarmante sull’economia mondiale.

Nel 1987, la norvegese Signora Gro Harlem Brundtland, impegnata sul fronte ambientalista, ha redatto a Rio de Janeiro per le Nazioni Unite il rapporto Brundtland (Our Common Future) che, per la prima volta, conteneva la definizione di “sviluppo sostenibile” e, negli anni successivi, monitorabile attraverso l’indicatore complesso definito impronta ecologica. Però, passano gli anni, tante promesse, nulla di fatto.

Saremo  capaci di superare i micidiali progetti delle armi,  sostituendoli e riconvertendoli con straordinari progetti per la pace? Pensa che questo potrà mai accadere o è solo un sogno?

I termini di industria e di pace sono contrapposti, perché l’industria è della guerra, e non vuole la pace. La pace, come la sostenibilità, non fa business. E qui vorrei spezzare una  lancia in favore di noi donne. Capaci di un pensiero complesso siamo portate al cambiamento (quale rivoluzione abbiamo fatto inventando l’agricoltura!).

A noi, oggi, spetterebbe il compito di coltivare e diffondere il senso (e non il genere) femminile della sostenibilità. Una Pace Sostenibile, che però mal si accompagna al termine di Sviluppo. Parlare di Sviluppo Sostenibile è un contraddittorio, un tranello che può trarre facilmente in inganno. La sostenibilità rappresenta un nuovo modello di società fuori dal mercato globale – che non significa decrescita – ma una diversa forma di vita. È  fondata su criteri di maggiore responsabilità in termini sociali, ambientali ed economici. Il termine sviluppo – invece –  ci riporta al modello di crescita, basata sulla quantità e lo spreco, anziché sulla qualità.

I giovani purtroppo oggi sono spesso vittime della società. A cosa si dovrà ispirare “l’architetto del futuro”?

Nella ormai decennale esperienza in ambito formativo, si è dimostrato difficile distogliere l’attenzione dei giovani dall’universo tecnologico. Ho immaginato che una strada interessante, poteva essere quella di lavorare con i più piccoli, ancora liberi da condizionamenti e pregiudizi.

Nel 2015 ho organizzato dei laboratori di progettazione per bambini tra i 6 e gli 11 anni, ottenendo  risultati fantastici. Inizio raccontando loro che non siamo né astronauti né marziani e che per il mondo vivente, non è la terra che ruota intorno al sole, ma è il sole che ruota intorno alla terra.

Sollecito loro a osservare l’ambiente, non da fuori, ma da dentro, imparando a pensare disegnando con le mani: con matite e pastelli colorati, leggere le variazioni di ombre e di luci al variare delle ore e delle stagioni. Sono perfino arrivata a far progettare loro case diverse per aree climatiche diverse…

Dunque, anche la ricostruzione postbellica rappresenta, per una azione pacifica, l’occasione per ridefinire gli interventi a grande scala contrastando la speculazione edilizia. La ricostruzione diventa un importante intervento sostenibile, che procede con delicatezza, come fosse un restauro, senza cancellare, in nome delle mode internazionali, l’identità dei luoghi, e delle comunità colpite. Ridimensionare la scala delle città per riconsegnare alla comunità il loro senso di appartenenza.

Il significato, definito bio-climatico, dell’architettura regionalista, vicino al senso organico della bio-agricoltura, dovrebbe essere di ispirazione per i giovani, il sogno di un cambiamento, graduale, ma radicale, della forma di vita stessa. Ridurre i fabbisogni anziché i consumi, implica ridurre l’impronta ecologica: uscire dalla globalizzazione significa una migliore qualità della vita nostra e della Terra, a minori costi.