Lo sporco affare dell’energia pulita: il governo non riesce a fermare la festa degli incentivi

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Marzo 2011 - 13:13 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Il governo ha provato a metterci le mani, si è quasi scottato le dita e quindi si è limitato a maneggiare con una “presina” i manici caldi del pentolone surriscaldato delle energie rinnovabili, o meglio dei soldi pubblici, tanti anzi tantissimi, che finanziano e “incentivano” chi produce energia per via fotovoltaica, eolica o solare. Stavolta, almeno stavolta, la buona notizia era che il governo voleva porre argine, almeno argine, alla ressa scomposta intorno al pubblico denaro. La cattiva notizia è che si è fermato, bloccato da un’alleanza poco “santa” tra ambientalisti in buona e cattiva fede, produttori e aziende in regola, lobby a cavallo del grande affare, gruppi di pressione parlamentare e criminalità organizzata. E’ una storia lunga e costosa, comincia nel lontano 1987.

C’è stato il referendum sul nucleare, l’Italia ha detto no a maggioranza alle centrali nucleari, è l’anno dopo Chernobyl. Quindi il governo e il Parlamento di allora decidono che ci saranno incentivi per chi produce energia da fonti definite nel testo di legge originario “rinnovabili”. Ma qualcuno, probabilmente su suggerimento e spinta dell’industria petrolifera, aggiunge nel testo di legge la formula “e assimilate”. Il risultato è che vengono “incentivate” tutte le attività energetiche, anche quelle che rinnovabili non sono. Il meccanismo di incentivazione prende il nome di Cip, che non è il canto di un uccellino ma è quello che ciascuno si trova da anni in bolletta della luce come sovrapprezzo da pagare: dal 2001 al 2010 ben 22,8 miliardi di euro, finiti per buona metà a chi produceva combustili fossili e per nulla rinnovabili. E’ l’antefatto che spiega i fatti di oggi, perché il metodo non è cambiato: far passare come benedetti ed ecologici incentivi alle energie rinnovabili una marea di soldi che vanno a chi si piazza dove il denaro zampilla e scorre.

Passano gli anni, mutano le tecnologie ma il “metodo” resta lo stesso. Si finanziano per legge le energie rinnovabili. Si fa in tutta Europa, però in Italia gli incentivi sono dell’ottanta per cento superiori alla media europea. Talmente si finanziano e incentivano le energie rinnovabili che si arriva al fatto matematico per cui un chilowattora costa a produrlo in Italia in media 60/70 euro, se però lo produci per via fotovoltaica costa 402 euro. Servirà per non inquinare, non si discute, sovrapprezzo in parte benedetto, ma sovrapprezzo mostruoso e dietro il quale non c’è l’ecologia, lo sviluppo sostenibile o la sorte del pianeta ma la speculazione, lo sviluppo di un grande affare e la sorte di chi ci si tuffa a pesce. Talmente conviene produrre per via fotovoltaica e comunque “alternativa” che vengono presentati negli ultimi quattro anni progetti e richieste di impianti e incentivi per un totale di 130mila megawatt. Che vuol dire? In un secolo la potenza elettrica installata in Italia è stata di 105mila megawatt. E’ la grande corsa agli incentivi, al di là di ogni necessità energetica italiana.

Corsa che costa agli utenti solo quest’anno 5,7 miliardi che si pagheranno in bolletta. Corsa così frenetica e accelerata che il traguardo di 8.000 megawatt fissato nel 2010 come tetto oltre il quale staccare la spina degli incentivi è già quasi raggiunto, le ultime stime parlano di 7.400 megawatt di energia prodotta da fonti rinnovabili già acquisiti. E allora il governo ci ha provato: stop davvero a quota ottomila e stop agli incentivi, almeno così come sono. Ma se quota ottomila è già quasi oggi raggiunta, che faranno da domani le aziende grandi e piccole che producono o dichiarano di produrre energia per via di fonti alternative? Continuano a produrre senza i maxi incentivi? Non sia mai, non ci stanno e comprensibilmente premono sul governo perchè non stacchi la spina alla presa diretta dei soldi. Alle aziende si affiancano i laici custodi dell’ambientalismo e i predicatori della fede “verde”. Per forza di inerzia si accoda più o meno tutta la sinistra politica. Prende la guida del movimento di resistenza niente meno che il neonato gruppo parlamentare dei “Responsabili” alla Camera. Hanno carte da giocare, sono loro che assicurano la maggioranza al governo. E hanno interessi da rappresentare e difendere, sono in buona parte parlamentari meridionali ed è nel Sud d’Italia che proliferano aziende come quella in Puglia che aveva dichiarato una produzione di otto megawatt e ad un’ispezione risultò avere pannelli fotovoltaici per 40 kilowatt. Che vuol dire? Che intascava incentivi pari a duecento volte quel che in realtà produceva di energia. Ottimo affare, non c’è dubbio. Affare avvistato e frequentato in tutto il Sud dalla criminalità organizzata come apertamente denunciato dalla Commissione Antimafia.

E’ la poco “santa” alleanza che ferma e stoppa il governo. Alleanza fatta di buone ragioni e oneste aziende e anche di truffe in grande stile e sprochissimi affari. Alleanza nata sul terreno e che collega tra loro cose che tra loro poco hanno a che fare. La solita alleanza tra spreco di denaro pubblico, corporazioni di interessi e gente svelta di portafoglio e di mano. Per di più con una involontaria copertura ideologica perché le energie rinnovabili sono buone e sante a prescindere. In quel “a prescindere” si è incistata una speculazione che è saltata in groppa alle aziende, un dilatarsi comico-tragico della corsa al fotovoltaico super remunerato con i soldi delle bollette di tutti, la mano lunga e “morta” dei “furbetti” dell’energia. Il governo ci ha provato a dichiarare che “la festa è finita”. Non ce l’ha fatta: sparito il tetto degli ottomila megawatt, solo annunciata la revisione della quantità degli incentivi. Sono stati tutti avvertiti: prima o poi la festa finirà, per ora continua.