Euro cala Italia spera. Valuta rispecchia economia 5 anni troppo tardi

Pubblicato il 3 Settembre 2014 - 12:35 OLTRE 6 MESI FA
Euro cala Italia spera. Valuta rispecchia economia 5 anni troppo tardi

Un Euro: scende sul dollaro, era ora

ROMA — Euro scende Dollaro sale, Europa e Italia respirano. Anche se c’è stato un mini rimbalzo il 3 settembre, il nuovo minimo sfiorato dall’Euro sul dollaro martedì 2 settembre 2014 è stato a quota 1,3111, ma, riferisce Elena Polidori su Repubblica,

“secondo molti analisti non è ancora abbastanza per aiutare l’export e arginare la deflazione. La loro speranza è che la Bce, nell’attesissima riunione di giovedì, faccia un altro passo per stimolare l’economia, azionando qualcuna delle leve tante volte ventilate”.

Secondo Ettore Livini, sempre su Repubblica, il valore ideale del cambio Euro contro Dollaro sarebbe di 1,2, contro gli 1,4 di luglio.

I Governi di incapaci che abbiamo avuto in questi anni, invece di premere per una politica valutaria europea che portasse l’Euro a riflettere il valore della nostra economia europea, sono stati bravi solo a strozzarci con le tasse.

Cosa annuncerà giovedì 4 settembre il presidente della Bce, Banca centrale europea Mario Draghi?

“C’è chi scommette su un ribasso dei tassi; chi invoca il cosiddetto quantitative easing , il massiccio piano d’acquisto di titoli pubblici e privati sulla falsariga di quanto già fatto in precedenza dalla Fed americana, dalla Banca d’Inghilterra e del Giappone; chi nulla s’attende prima dell’Asset quality review delle banche.

“Su un punto però le analisi convergono: la situazione economica in Europa è fragile, il rischio deflazione incombe su un’area già molto provata dalla crisi, con l’Italia in recessione, la Francia in stagnazione e la Germania quasi ferma. Il settore manufatturiero è al palo praticamente ovunque nel vecchio continente. Persino in Spagna, dove pure la ripresa s’avverte, torna a salire la disoccupazione: 4,43 milioni di senza lavoro ad agosto, 8 mila in più rispetto al mese precedente”.

Negli Usa, invece, le cose vanno al contrario che in Europa. In America del Nord, l’indice Pmi, cioè le indicazioni degli uffici acquisti delle aziende, che non comprano se non ci sono prospettive di venderee,

“è schizzato ai massimi da aprile 2010”.

Tutti elementi che preoccupano Draghi e il board Bce, conclude Elena Polidori. Se le cose vanno in modo così opposto in Europa e in Usa, ci sarà bene una ragione, visto che la recessione l’hanno patita dura anche loro, forse peggio che da noi.

Sul Sole 24 Ore, Andrea Franceschi collega i punti e spiega:

“I dati Usa rilanciano il super-dollaro, che è ai massimi da sette mesi sulle 10 principali valute, euro giù fino a 1,3110”.

Elabora:

“L’economia viaggia a due velocità tra le due sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti il Pil è cresciuto del 4,2% nel secondo trimestre. Nell’area euro di appena lo 0,7 per cento. L’inflazione negli Stati Uniti viaggia al 2 per cento. Nell’area euro gli ultimi dati relativi ad agosto hanno confermato la parabola discendente dei prezzi con una crescita di appena lo 0,3% anno su anno con la terza economia dell’area (quella italiana) scivolata in deflazione.

“L’ultima delusione per l’area euro è arrivata lunedì con gli indici dei responsabili acquisti delle imprese manifatturiere risultati peggiori delle attese. L’ultima buona sorpresa per gli Stati Uniti è arrivata ieri con la pubblicazione dell’analogo indicatore (l’indice Ism manufatturiero) che ad agosto è ancora cresciuto passando da 57,1 a 59 punti. L’indice che misura la fiducia delle imprese americane ha fatto meglio delle stime degli analisti che si attendevano una crescita più contenuta a 58 punti ed è ai massimi da 10 anni a questa parte.

“Mettete insieme questi indicatori e combinateli con il differente orientamento di politica monetaria di Fed e Bce (la prima si appresta a chiudere la stagione degli stimoli mentre la seconda potrebbe annunciarne di nuovi al direttivo di domani) e capirete come mai il dollaro si sia apprezzato di oltre il 6% sull’euro dai minimi di inizio maggio”.

Ancora su Repubblica, Ettore Livini analizza le conseguenze di un Euro svalutato anche se in modo strisciante e di riflesso:

“L’Italia aspetta da anni come manna dal cielo – e finora con scarsi risultati – un deprezzamento della divisa unica. A spiegare il perché basta un numero: +1,3%. L’aumento garantito in tre anni al Pil tricolore (stima dell’ufficio studi di Confindustria) da un calo del 10% della valuta Ue sul dollaro. Cifra più che sufficiente per compensare i 6 miliardi di spesa energetica in più necessari per fare il pieno all’auto e pagare le bollette di luce e gas e digerire un po’ di inflazione”.

Ettore Livini analizza i pro e i contro di un euro più debole. Ecco alcune delle sue voci in meglio e in peggio:

PIL ED EXPORT – Un euro svalutato

“sarebbe un toccasana per imprese ed economia in Italia. Un deprezzamento del 10% sul dollaro regalerebbe 20 miliardi in tre anni al Prodotto interno lordo italiano. E aumenterebbe di molto (+2,4%) la competitività delle nostre aziende nei confronti dei concorrenti che vendono le loro merci in altre valute.

“Inoltre le esportazioni di beni e servizi dall’ Italia fuori dalla Ue valgono circa 235 miliardi l’anno, il 59% del totale. Un euro a 1,2 euro (dove lo vorrebbe Mario Draghi) rispetto agli 1,4 di luglio scorso basterebbe così a far crescere le nostre vendite all’estero di 11 miliardi l’anno. Per capire i danni del caro-cambi, del resto, basta guardare i bilanci del primo semestre 2014 delle grandi aziende quotate: a Fiat è costato il 5% del fatturato. A Pirelli addirittura il 10% delle entrate”.

CARBURANTI –

“Un calo del 10% della moneta unica, stimano a Nomisma, aumenterebbe di 6 miliardi la nostra bolletta per greggio e gas, allargando il deficit energetico nazionale a 66 miliardi. Il costo di un rifornimento di benzina verde da 50 litri – a parità di prezzo al barile – salirebbe da 89 a 94 euro (le accise rimarrebbero invariate). A rischio stangata, con rialzi del 4-6%, sarebbe pure la spesa per luce e gas. A festeggiare sarebbe invece lo Stato visto che gli incassi per l’Iva sui carburanti potrebbero salire di 1,5 miliardi l’anno”.

Ci potrebbe però essere

“il calo in termini assoluti del prezzo del greggio. Il rafforzamento del dollaro sui mercati valutari, infatti, è stato quasi sempre accompagnato da una flessione delle quotazioni del petrolio sul mercato delle materie prime. E anche questa volta non pare fare eccezione”.

INFLAZIONE

“Il mini-euro farebbe ripartire i prezzi. Uno studio della Bce dice che la flessione del 10% corrisponde a un aumento dello 0,5% dell’inflazione. Salirebbero così i tassi di mercato e le rate dei mutui, la spesa al mercato ci costerebbe un po’ di più, crescerebbero i rendimenti di Bot e Btp e l’Italia pagherebbe qualcosa in più anche per onorare gli interessi sul debito (oggi attorno agli 80 miliardi l’anno).
“Il gioco però, specie dal punto di vista di Mario Draghi, vale la candela: un rialzo controllato del costo della vita consentirebbe all’Europa, Italia compresa, di sfuggire al rischio della stagflazione (la combinazione di economia al palo e inflazione negativa), uno scenario da incubo per le nazioni con altissimo debito pubblico come la nostra”.