Coldiretti denuncia l’invasione dei “falsi pomodori” dalla Cina

Pubblicato il 8 Giugno 2010 - 19:09 OLTRE 6 MESI FA

Pizza e pasta messe alla prova dell’inganno del pomodoro cinese: il 10% del pomodoro lavorato in Italia non è maturato sotto il sole della Penisola ma nelle campagne cinesi da cui parte un’offensiva di esportazioni, soprattutto nel settore conserviero e concentrati, che ha portato nel primo trimestre a triplicare in Europa (+174%, a 60 milioni di chili) gli sbarchi di concentrato.

I dati arrivano dal dossier sulle importazioni ‘selvagge’ di pomodoro dalla Cina presentato martedì 8 giugno da Coldiretti, dalle cooperative agricole dell’Unci e dalle industrie conserviere dell’Aiipa. Nei porti europei e italiani sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato da ‘spacciare’ come italiano, in quanto nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento ma non quello di coltivazione del pomodoro.

“Un pericoloso inganno per i consumatori – sottolinea il presidente di Coldiretti, Sergio Marini – nonché un danno economico per i corretti produttori del Made in Italy”. Per arginare l’ondata rossa che arriva dalla Cina, Coldiretti, Unci e Aiipa chiedono dunque un protocollo sanitario specifico per il controllo del pomodoro concentrato cinese all’ingresso nei porti comunitari, l’obbligo di indicare l’origine del pomodoro utilizzato nei derivati del pomodoro e l’immediata e tempestiva attivazione del meccanismo di salvaguardia, con un dazio doganale aggiuntivo come misura antidumping prevista dalla normativa comunitaria.

Non mancano i casi di vere e proprie clonazioni cinesi di marchi italiani – mette in luce il dossier Coldiretti – con confezioni di concentrato di pomodoro identiche a quelle originali prodotte in Italia, complete di bandiera tricolore e scritte in italiano. La qualità di questi cloni lascia molto a desiderare, osserva Coldiretti, trattandosi, secondo le analisi svolte nei laboratori, di prodotto costituito in gran parte da scarti di diversa natura, quali bucce e semi di diversi ortaggi e frutti.

Le analisi chimiche hanno peraltro evidenziato livelli di muffe che eccedono i limiti di legge previsti dalla legislazione sanitaria. Se non arriva l’etichetta d’origine obbligatoria, poca difesa hanno i consumatori dal rintracciare il vero prodotto italiano, a meno che, come sottolinea il presidente Marini, “lo stesso produttore volontariamente abbia inserito in etichetta che si tratta di prodotto 100% italiano”. E non è neanche detto che il concentrato dal sapore orientale sia più a portata di tasca perché, come sottolinea lo stesso Marini, “nulla vieta a chi oggi compra il prodotto in Cina, lo lavora in Italia, lo ribarattola come italiano, di venderlo al prezzo del prodotto italiano, anzi è molto probabile che faccia proprio così”.

Intanto il presidente della Commissione agricoltura del Senato, Paolo Scarpa Bonazza Buora, annuncia che la Camera è tornata ad occuparsi del disegno di legge sull’etichettatura obbligatoria di origine degli alimenti e potrebbe approvarlo entro l’estate.