Fiat, 30 anni fa la marcia dei 40 mila. Annibaldi ricorda: “Così finì il ’68, eravamo più forti dei sindacati”

Pubblicato il 14 Ottobre 2010 - 14:50| Aggiornato il 15 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

In 40 mila sfilarono a Torino e cambiarono l'Italia

Il 14 ottobre 1980 la “marcia dei 40 mila” rovesciò i “rapporti di forza” nella contrattazione tra i sindacati e la Fiat. Come ha spiegato Cesare Annibaldi, ex capo delle Relazioni Industriali del gruppo torinese, in un’intervista a La Stampa “con i quarantamila è finito il Sessantotto”.

Le strade di Torino furono invase da persone di ogni estrazione sociale e diversa collocazione professionale: molti erano dirigenti e quadri della Fiat occupata da 35 giorni dagli operai in sciopero, molti però anche cittadini di ogni ceto esasperati dai clima di intimidazione e violenza sindacale che si respirava nella città da anni. La manifestazione, ricorda Annibaldi, fu organizzata e appoggiata dai “piani alti” dell’azienda, dopo che Luigi Arisio (allora presidente dell’Associazione dei Quadri intermedi della Fiat) fu “buttato fuori dalla fabbrica” da alcuni operai.

La mattina del 14 ottobre i vertici della Fiat erano riuniti con gli esponenti dei sindacati, fra cui spiccava Luciano Lama, all’epoca segretario generale della Cgil. Quando si resero conto che in strada c’era tantissima gente che manifestava contrarietà rispetto “linea dura” degli operai, racconta Annibaldi, “fu Lama a dire a Romiti: dateci voi il testo dell’intesa. E noi a quel punto ci comportammo in maniera saggia. Abbiamo tenuto il punto, ma inserito una modifica essenziale”.

La protesta degli operai a Mirafiori era cominciata il 12 settembre, dopo che Umberto Agnelli aveva rilasciato “un’intervista a Peppino Turani in cui annunciava il licenziamento di 14 mila dipendenti”. Agnelli, ricorda Annibaldi, “diceva che per uscire da quella situazione erano necessari i licenziamenti e la svalutazione della lira. L’abbinamento non era felice, questo era e resta il mio parere, ma il dottor Agnelli ne era convinto, non voleva che l’intervista fosse tutta sul sindacato. A noi premeva almeno altrettanto la produttività perduta: i licenziamenti erano il via a un’azione destinata a creare competitività”.

L’intervista suscitò all’epoca molto clamore, e, come ha sottolineato Annibaldi, l’idea fu dell’Avvocato in persona: “Quando Turani mandò il testo da leggere prima della pubblicazione, eravamo in tre: io, il dottor Agnelli e il capo dell’ufficio stampa Marco Benedetto. Cominciammo a dire: tagliamo qui, tagliamo là. Volevamo fargli togliere l’abbinamento svalutazione-licenziamenti. Ma Umberto Agnelli rispose di no: l’ho detto… ed è rimasto nel testo”.

Il sindacato, spiega Annibaldi, rifiutò il dialogo e “tutto finì sul tavolo del ministro del Lavoro, Franco Foschi. Culturalmente e politicamente Foschi era più vicino al sindacato che all’azienda”. Foschi, che è morto di recente ed è anche risultato iscritto alla loggia di Licio Gelli, la P2, era della corrente di Carlo Donat Cattin, torinese, leader della sinistra dc, uno dei politici italiani più ostili alla Fiat. Anche il presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, appoggiava la “linea Foschi”.

Poi il governo cadde, ma la situazione all’interno della Fiat rimaneva delicata. Dice ancora Annibaldi: “Eravamo in un vicolo stretto del quale non si vedeva l’uscita. Per sdrammatizzare, tolta di mezzo la parola licenziamenti e siamo passati alla cassa integrazione. Ma quelli del sindacato che erano per la lotta hanno tenuto la loro posizione. Dicevano: è come prima e peggio di prima”.

Tra la Fiat e i sindacati cominciò allora un braccio di ferro: “Anche loro erano sicuri: chi contava di più sull’intervento del governo, chi invece spingeva verso l’occupazione per far pressione sul governo”. Poi, spiega Annibaldi, ci si mise di mezzo anche il segretario del Pci Enrico Berlinguer, che intervenne in quei giorni a Mirafiori, appoggiando di fatto l’occupazione: “Ci furono subito dei tentativi di leggerlo in modo meno impegnativo, ma alla fine passò quel segnale”.

Alla fine, però, arrivò la Marcia dei Quarantamila. Per Annibaldi “è stata la deflagrazione di una vicenda in cui le cariche esplosive si erano venute ad accumulare negli anni. Ad ogni vertenza eravamo costretti a fare concessioni che comportavano perdite di produttività. Non era più possibile, sia pure con le spalle larghe della Fiat, sopravvivere”.