Fiat-Pomigliano. Casini: “Il Pd esca dall’imbarazzo e appoggi il sì al referendum”

Pubblicato il 21 Giugno 2010 - 09:41| Aggiornato il 23 Giugno 2010 OLTRE 6 MESI FA

Pier Ferdinando Casini

Il Partito Democratico esca dall’imbarazzo e scelga di appoggiare il “sì” al referendum sulla vicenda della Fiat di Pomigliano. E’ l’appello del leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini che, in un’intervista al “Corriere della Sera”, si rivolge direttamente a Bersani, definendo “preoccupante” il fatto che il segretario del Pd, nel corso della manifestazione contro la manovra economica, non abbia fatto alcun riferimento alla situazione di Pomigliano.

“Non è pensabile – dice Casini – che chi si propone come forza di governo opposta a Berlusconi giri a vuoto su un argomento così importante” e aggiunge “oggi, un’alleanza riformista non può prescindere da Pomigliano e non può essere indulgente con i Cobas”. “Se Vendola e Bertinotti o l’Idv protestano – prosegue l’esponente dell’Udc – per me non c’é niente di nuovo sotto il sole ma il Pd non può restare in mezzo: deve scegliere da che parte stare”.

Casini si schiera completamente a favore di Marchionne che “avrà un eccesso di franchezza quando dice certe cose, però non è un politico: è l’amministratore delegato della Fiat che si trova di fronte alla crisi globale dell’auto”. Quanto all’accordo sullo stabilimento di Pomigliano che ha diviso Cgil e Fiom, Casini crede che si stia aprendo “una nuova stagione dei rapporti tra impresa e mondo del lavoro. Cisl e Uil stanno esprimendo posizioni coraggiose e non tradizionali”.

“A Pomigliano si difende l’Italia. Si difende la possibilità che i nostri lavoratori rimangano qui”. Afferma il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini a margine di una manifestazione dell’Aisla, rilevando: “Certi parassitismi e certe impostazioni sindacali sessantottine a Pomigliano non devono trovar spazio. Se ciò avvenisse sarebbe la morte finale dell’impresa italiana”.

Secondo Casini, quella di Pomigliano d’Arco “è una grande questione nazionale. E’ lì che dobbiamo dimostrare se l’Italia vuole rimanere un Paese industrializzato o invece gettare la spugna consentendo alle grandi imprese nazionali di andare a investire fuori”.