Grandi manovre all’orizzonte

Pubblicato il 6 Giugno 2011 - 17:40| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Giulio Tremonti

Dopo l’outlook negativo sta arrivando la manovra correttiva. Del resto le manovre, quando si annunciano, si devono fare, e nel più breve tempo possibile. Altrimenti i mercati si indispettiscono e cominciano a scalpitare, bruciando miliardi di euro. Altra caratteristica delle correzioni annunciate è l’arrotondamento per eccesso. Si era detto 35 – 40. E 40 è già diventata la base di partenza, il pavimento, che può essere rivisto solo al rialzo.

Anche per questo motivo erano state messe a punto delle procedure che scandivano i tempi e i modi della decisione, per razionalizzare le attese ed assumere le decisioni di finanza pubblica in modo ponderato e tranquillo. Ma la logica del decreto-legge, improvvisato sulle esigenze del momento, sgrammaticato, corretto alla rinfusa con un maxiemendamento e tamponato con il voto di fiducia, è ormai prassi consolidata. Omnibus, mille proroghe, riscritture pasticciate di decreti appena approvati. Uno scenario che si è ripetuto decine di volte negli ultimi anni. La cifra della legislatura.

La manovra correttiva serve a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. E’ un passaggio ineludibile, per mantenere gli impegni con l’Europa e soprattutto per fare togliere dalla testa dei mercati che, dopo i piccoli (Grecia, Irlanda e Portogallo), si possa cominciare con i grandi (prima la Spagna e poi l’Italia). Ma è solo il primo passo. Dopo, come già documentato su Blitz e ribadito dalla Corte dei Conti nel Rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica presentato recentemente al Parlamento (in particolare nel paragrafo “Verso la riduzione del debito pubblico”, a pag. 42) dal 2014 il debito “dovrebbe ridurre di un ventesimo all’anno il suo scarto rispetto al valore soglia del 60 per cento; scendendo così nel periodo 2015-2034 da 113 a 79 per cento”. Le conclusioni della Corte mostrano senza infingimenti la difficoltà della situazione. “Una valutazione preliminare intorno agli effetti delle nuove regole europee, in particolare di quella relativa alla progressiva riduzione del debito pubblico, conduce a mettere in evidenza quanto sia impervio il percorso al quale la finanza pubblica italiana è chiamata nei prossimi anni. Già di per sé la traiettoria fissata nel DEF da qui al 2014, che ci dovrà condurre al pareggio di bilancio, è paragonabile per la dimensione dell’aggiustamento a quanto si dovette fare alla metà degli anni ’90 per poter essere ammessi nella moneta unica fin dal suo avvio. Ma, mentre dopo il 1997 si resero possibili politiche meno severe, le nuove regole europee impediranno che ciò possa avvenire dopo il 2014. Ancora per molti anni la finanza pubblica sarà costretta a mantenere un avanzo primario consistente”.

Molto chiaro, ma i problemi non finiscono qui. Come ha da ultimo con grande forza sottolineato il governatore della Banca d’Italia nella sua ultima relazione annuale il problema fondamentale da risolvere per affrontare questo difficile percorso è quello della crescita. Come crescere un punto in più? E’ il nodo cruciale dell’Italia, da almeno un ventennio. E, come è noto, non si tratta di un problema congiunturale, ma affonda le sue radici nella fragilità del sistema produttivo nazionale (sottodimensionamento e gestione familiare delle imprese), nella inefficienza della pubblica amministrazione (imprigionata dalla burocrazia del controllo formale), nel dualismo del sistema economico (il più profondo in Europa). Questi problemi non si risolvono con la spesa pubblica, è ovvio, ma un intervento pubblico, se ben mirato, può far ripartire la macchina dell’economia italiana. Ci vuole quindi una manovra lorda, in cui 40 miliardi vengono destinati al conseguimento del pareggio e almeno 10 al rilancio dell’economia. Per riprendere ad investire sul futuro va dato un segno netto. 5 miliardi per la scuola e la ricerca e 5 per i giovani (prestiti d’onore, housing sociale, borse di studio, un grande piano che deve scaturire da un approfondito confronto di idee nella società). Inoltre, senza ulteriori oneri per il bilancio pubblico, è possibile riorganizzare le risorse disponibili per gli investimenti per far ripartire, in collaborazione con gli enti territoriali, opere a basso impatto ambientale ed alto impatto occupazionale (un piano dei 1.000 cantieri). E ancora, sempre a costo zero, è possibile varare un piano di liberalizzazioni per le imprese, esistenti e nuove.

Come trovare 50 miliardi? La pressione fiscale è elevata e distorta. Qualsiasi aggravio delle imposte avrebbe, in questo quadro, un effetto controproducente. Si potrebbero però considerare entrate straordinarie che, in una fase transitoria, possono aiutare la manovra di finanza pubblica. Solo alcuni esempi. Una nuova imposta del 5 per cento sui 100 miliardi dei capitali rientrati con lo scudo fiscale, di cui si conoscono gli elenchi, darebbe 5 miliardi. Una razionalizzazione del prelievo fiscale sui redditi da capitale, omogeneizzando l’aliquota per tutti i cespiti, darebbe, a seconda del livello prescelto, un congruo gettito (peraltro permanente).

Poi c’è il mostro della patrimoniale. Un leggero prelievo sulla ricchezza, pari al 3 per mille sulla ricchezza detenuta dal primo decile, (esclusa quella relativa ad attività di impresa), darebbe 10 miliardi. Se i fantasmi evocati da una proposta del genere sono insostenibili, si potrebbe pensare si sostituirne l’impatto con l’iscrizione in bilancio di un parziale recupero dell’evasione, che si configura però principalmente come intervento di medio periodo, da utilizzare, dal 2014 in poi, per sostanziare il programma di abbattimento del debito pubblico. Con opportuni inasprimenti delle azioni in atto una somma dell’ordine dei 10 miliardi, potrebbe, a partire dal 2013, essere prevista (e anche questa sarebbe una entrata permanente).

Se 25 miliardi possono essere recuperati con interventi sulle entrate, la restante metà va trovata nella riduzione delle spese delle pubbliche amministrazioni. Una operazione non indolore, che deve essere però la risultante di una due diligence straordinaria, trasparente e partecipata, e non del solito taglio lineare. Una operazione difficile, ma possibile.

Dal 2014 in poi, proseguendo ed intensificando le azioni implementate negli ultimi anni la grande entrata dovrà derivare dal recupero significativo dell’enorme massa di risorse che sfuggono al fisco, stimate recentemente dall’Istat in oltre 16 punti di PIL. Una parte dei ricavi della lotta all’evasione va destinata all’abbattimento del debito, un’altra al riequilibrio strutturale del paese. E’ necessario attivare quanto previsto dal quinto comma dell’articolo 119 (risorse aggiuntive statali per rimuovere squilibri economici e sociali, in specifiche aree territoriali). Riproporre la questione meridionale al centro dell’agenda di politica economica e prevedere un congruo paniere di misure per abbattere il gap territoriale è anche la condizione per attuare veramente il federalismo, destinato altrimenti o a rimanere sulla carta o a produrre sconquassi. Solo così si potrà dare, in un ragionevole numero di anni, un impulso alla crescita generale del paese ed innestare quel “circolo virtuoso” agganciato con l’ingresso nell’euro nel 1997 e poi smarrito.

Una strada in salita, che richiederebbe grande coesione, sforzi comuni, governi di coalizione nazionale. In netta controtendenza con gli ultimi anni, anche se pare che qualcosa stia iniziando a muoversi. Quello che sicuramente non si può fare è la riforma fiscale basata sull’abbattimento delle aliquote. Saremmo abbattuti, a colpi di machete, dai mercati.