ROMA – Elliott Management, Donegal Investment, Dart Management, è solo qualcuno degli hedge funds additati ad esempio negativo della speculazione selvaggia ai tempi dell’emergenza debito. Li cita anche La Repubblica del 18 maggio. Li chiamano fondi avvoltoio perché speculano anche se non è chiaro quale dovrebbe essere invece la loro missione alternativa allo speculare. E non è un segreto o una scoperta dell’ultima ora che conducano operazioni su scala globale, rilevando titoli di stato a prezzi stracciati, venduti a saldo da paesi come la Romania o lo Zambia, ma anche dalla Germania. Fanno profitti, a volte enormi, scommettendo sul default dei debiti sovrani in difficoltà, sottoscrivono con le compagnie di assicurazione Credit Default Swap che assicurano in caso di deafult il totale pagamento del capitale più interessi maturati.
La Grecia è l’ultima vittima: mentre taglia stipendi e pensioni, mentre lotta disperatamente per rimanere aggrappata a un’Europa più stanca che disposta a tenderle la mano, deve restituire 6 miliardi 6 di euro ai famigerati hedge funds. I quali non credettero alle minacce di Atene contro chi non avesse accettato il taglio (swap) della metà dell’enorme suo debito: non vi ripagheremo mai, dicevano le clausole elleniche. Il 15 maggio il governo ad interim Papademos, quello che accompagnerà il Paese verso l’ennesimo voto, ha pagato.
I free riders della speculazione globale scorrazzano indisturbati e voraci lungo le praterie dei debiti sovrani: praterie che però non si sono formate all’indomani del raffreddamento della terra, sono il risultato della combinazione fatale della crisi economica, del gioco delle tre carte sui bilanci di troppi stati, dell’uso indiscriminato ancorché legale da parte delle amministrazioni pubbliche di strumenti finanziari come i derivati per far quadrare i conti dalla sanità al deficit, del gigantismo delle banche che relegano il mestiere di prestare i denari a una voce a piè di lista mentre investono il capitale proprio contando sul fatto che saranno gli Stati a rifondare le perdite, etc. etc.
In ogni caso, questi free riders hanno spuntato rendimenti a due cifre da titoli di di Stato comprati a prezzi stracciati. Come Paul Singer, fondatore di Elliott Management, ancora in causa contro l’Argentina e grande finanziatore del Partito Repubblicano negli Usa. Gestisce 15 miliardi per comprare debiti depressi per rivenderli a prezzi maggiorati e quando gli emittenti non pagano li chiama in tribunale: del Congo-Brazzaville una sua controllata comprò 30 milioni di debito a prezzi di saldo per ottenere nel 2002 100 milioni di interessi.
Kenneth Dart, dell’omonimo fondo, ha acquistato l’anno scorso bond greci pagando il 60% del valore nominale, per poi vedere i suoi rendimenti superare di gran lunga il 10%. E’ uno di quelli che ha rifiutato lo swap di marzo e ha vinto. John Paulson sta puntando contro i bond sovrani dell’Europa a tripla A e contro l’euro. Nel 2010 ha intascato oltre cinque miliardi di dollari; nel 2007 presagì la caduta del settore immobiliare americano e la debacle dei mutui subprime uscendone con il precedente record, profitti per 4 miliardi.
L’Italia, a parte qualche puntata sui bond Cirio e Parmalat, è un obiettivo poco ambito, stante la scarsità di debito quotato e i lunghissimi tre gradi di giudizio della giustizia nazionale che sconsigliano incursioni. Però l’acquisto di debiti sofferenti occultati nei complicati bilanci delle banche fanno gola. Andrea Greco di Repubblica cita il caso di “una banca che avrebbe ceduto mezzo miliardo di prestiti a solo l’1,8% del valore perché scaduti da un decennio”. Anche i crediti delle amministrazioni straordinarie “legge Prodi” sono appetibili. Tuttavia, nonostante le smentite indignate dello stesso primo ministro di allora Prodi, ben poco, anche per la difficoltà di raccapezzarsi sul tema derivati, è stato chiarito sul contributo, pagato salatissimo, di banche come J.P. Morgan o Goldman Sachs per vestire a nuovo i bilanci di Italia e Grecia per essere ammessi alla corte dell’euro.
Si parla, ne hanno parlato Spiegel e New York Times, di conti taroccati a fini politici, di uso dei derivati per postdatare le perdite, fino a che i nodi non fossero venuti al pettine. Cosa che è puntualmente avvenuta. Cosa che quelle banche avevano capito benissimo, visto che si premunirono con una grossa incetta di CDS perché alla sostenibilità di quei debiti non è che ci credessero granché. C’è da meravigliarsi se ora c’è una corsa a scommettere contro i debiti sovrani senza la minima disponibilità ad accettare ristrutturazioni del debito o swap come si dice?