Ici, Imu, Service tax… In 15 anni tasse locali aumentate del 114%

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Settembre 2013 - 11:00 OLTRE 6 MESI FA

Ici, Imu, Service tax... In 15 anni tasse licali aumentate del 114%ROMA – Era Ici, si è trasformata in Imu, ora diventerà Service Tax. Come fa notare Roberto Mania, quello di cambiare il nome alle tasse è un vizio tutto italiano, che in 15 anni ci è costato un aumento delle tasse locali del 114,4%.

Dal 1996 al 2011, secondo i dati della Cgia di Mestre, le entrate tributarie dei governi locali (Regioni, Province e Comuni) sono salite del 114,4 per cento, pari in termini assoluti a una crescita di circa 102 miliardi di euro.

Ricorda Roberto Mania su Repubblica:

Si è cominciato con l’Ici, agli albori della seconda Repubblica, era il 1992. L’imposta comunale sugli immobili. Che però è stata prima abolita (Silvio Berlusconi ci vinse la sua penultima campagna elettorale) proprio quando arrivava (si fa per dire) il federalismo fiscale, per essere sostituita dall’Imu che però non piace più e diventerà Service tax, di cui faranno parte la Tari, che prenderà il posto della Tarsu o della Tia (le imposte sui rifiuti), e la Tasi, ossia la “misteriosa” (copyright di Massimo Bordignon sul sito lavoce. info) imposta sui servizi indivisibili. I criteri per il prelievo della Service tax saranno fissati dai singoli Comuni con alcuni paletti stabiliti dal governo centrale. Alla fine una girandola di sigle che – chissà perché – fa venire in mente la celebre frase del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Appunto.

E ancora:

Una tassa nuova con le vecchie dentro sembra un buon metodo. Già sperimentato. Con l’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive), ad esempio, la tassa più odiata dagli imprenditori italiani. Che nel 1998, assorbì i contributi sanitari, la tassa sulla salute, l’Ilor e l’Iciap. Sull’Irap e sull’Irpef poi – lo sappiamo a spese nostre – le Regioni possono intervenire con la loro “addizionale” che vuol dire far pagare di più soprattutto per colpa dei buchi nella sanità. Meccanismo che non va confuso con quello della “compartecipazione” (i vari livelli di governo si distribuiscono l’entrata) che vale anche, per esempio, per le accise sulla benzina. Sempre tasse sono. Con più esattori, però. E sempre gli stessi contribuenti.