Ikea rinuncia al maxinegozio vicino Pisa. La burocrazia salva i piccoli?

Pubblicato il 18 Maggio 2011 - 13:21 OLTRE 6 MESI FA

PISA – “Investire in Italia significa affrontare un percorso inutilmente troppo lungo”: lo sapevamo già, ma detto dall’amministratore delegato di Ikea Italia fa più effetto. Soprattutto se Lars Peterssson è costretto ad annunciare l’addio al progetto del nuovo negozio da 15 mila metri quadrati in provincia di Pisa.

Forse non tutto il male viene per nuocere. L’Ikea rappresenta spesso una occasione di prezzi convenienti per i consumatori, anche se la qualità che accompagna i prezzi non sempre è da negozio a cinque stelle. Quello che però i consumatori non sempre sanno è che dietro la facciata amichevole c’è una azienda che dentro ha tutta la durezza di una multinazionale, come molti lavoratori, sindacati e anche clienti sanno.

Per questo non tutti a Pisa sono disperati, a cominciare dai piccoli produttori e dai piccoli commercianti, perché se un divano uno lo compra all’Ikea, difficilmente accaddrà che quel divano è stato prodotto in provincia di Pisa, o anche in Brianza o in Italia. E questo ovviamente comporta che molti piccoli e medi produttori e rivenditori finiscono per essere messi fuori mercato dalla multinazionale scandinava.

E non è da escludere che nella selva di autorizzazioni e permessi necessari per realizzare l’investimento pisano, qualche liana o qualche cespuglio insormontabile siano stati fatti trovare lì non per caso ma ad opera della politica per rendere il percorso più arduo e salvaguardare gli interessi locali.

D’altra parte l’Ikea non è una organizzazione no profit o di beneficenza. Certamente ha individuato l’esistenza di un mercato interessate che giustificasse l’investimento; ma il successo avverrà, o sarebbe avvenuto, a spese dei concorrenti locali.

L’insediamento commerciale di Pisa doveva essere posizionato alla confluenza di tre strade di grande traffico, dall’evidente appeal commerciale. Ikea parla di 300 di posti di lavoro fra gli addetti più un indotto di almeno cento unità che sfumano e di un investimento iniziale da 70 milioni di euro (destinati a diventare 100 con la realizzazione di un centro commerciale).

Dal loro punto di vista gli svedesi non sono stati particolarmente impazienti: per sei anni hanno aspettato il via libera dell’amministrazione di Vecchiano (Pisa). Ora dalla casa madre è arrivato l’ordine di cancellare il piano di sviluppo. Con la logica brutale e rozza delle multinazionali, Ikea dirotterà l’investimento in un’altra città europea perché “Vecchiano non è più competitivo rispetto ad altre potenziali localizzazioni”. Petersson non può che ribadire l’elementare concetto economico: “In sei anni sono cambiate le condizioni d’investimento in altri Paesi, magari in Francia, in Svezia o in Slovacchia, e dunque il progetto di Vecchiano è entrato in concorrenza con altri progetti europei che hanno un iter più veloce”.

Parla di concorrenza, ma non si tratta di mercato, solo di concorrenza interna tra progetti di Ikea, tra manager dei vari paesi.

Mediamente, sostiene sempre Petersson, in Italia servono due anni di attesa in più rispetto agli altri paesi, cioè sei sette anni contro i tre quattro del resto d’Europa. Sarà per questo, nota amaro Alberto Orioli sul Sole 24 Ore, che “i tedeschi cresceranno del 4,8% e noi, sì e no, dell’1%”. Enti locali, comitati spontanei, burocrazie varie, ambientalisti della domenica, tutti hanno concorso a far saltare il progetto. In nome della discutibile etica N.y.m.b.y (not in my backyard, non nel mio cortile di casa), in spregio a ogni ragionevole criterio amministrativo.