Il colosso economico cinese e la china pericolosa (vedi il Giappone) su cui cammina

Fabbrica cinese

Si dice che non si è mai vista una trasformazione economica così rapida e possente come quella della Cina.

Ma non è vero.

Vent’anni fa, ad essere una locomotiva economica era il Giappone, che secondo il pensiero corrente e svariati best-sellers, era pronto a dominare il commercio e la diplomazia globali per decenni a venire, scrive il New York Times.

Il fatto che non sia mai successo non pregiudica le prospettive future della Cina. Eppure, se il mondo ammira la trasformazione della Cina da nazione contadina a colosso economico, i rischi di estrapolare il robusto presente cinese in un futuro indeterminato non devono essere ignorati.

L’ascesa della Cina è senza dubbio un miracolo economico. Ma come nel caso del Giappone, l’economia di stato potrebbe dimostrarsi più utile nei primi periodi di sviluppo che nel garantire una crescita duratura nel futuro, rileva il Nyt.

Per buona parte del dopo guerra nel ventesimo secolo il Giappone edificò un impero di aziende private strettamente collegate allo stato. Edificò anche un colosso di scambi commerciali con esportazioni gonfiate da uno yen artificialmente tenuto basso. Le aziende manifatturiere giapponesi erano accusate di copiare le tecnologie americane per produrre prodotti elettronici a basso costo. Il settore delle vendite al dettaglio e i mercati finanziari erano impenetrabili per la concorrenza americana.

Anche la Cina ha oggi una schiera di mega-corporazioni, sebbene, contrariamente al giappone, siano esplicitamente proprietà dello stato. Vasti settori dell’economia, inclusi quelli della finanza, delle comunicazioni, dell’energia e di cruciali comparti manufatturieri, sono di fatto off limits per gli stranieri e finanche per i concorrenti domestici.

Lo yuan, a giudizio di tutti -tranne che in Cina- è tenuto basso per mantenere su di giri la macchina delle esportazioni. Alcune di queste tattiche sono state usate dal Giappone e altri Paesi emergenti per alimentare le loro economie basate sull’export.

La Cina è diversa per due motivi in apparenza contraddittori. Da un lato, le principali industrie come petrolio, telecomunicazioni, banche e aviazione sono considerate strategiche e sono sotto stretto controllo statale. Questi ”campioni nazionali”, come li considera il governo, sono l’avanguardia della spinta cinese verso i mercati globali, e gli evangelisti dei valori economici cinesi.

Dall’altro lato, l’industria leggera, le vendite al dettaglio e il fiorente settore dell’esportazione sono più liberi di seguire le regole di Adam Smith. Contrariamente a quanto accadeva in Giappone, in Cina i prodotti al consumo occidentali sono dappertutto e competono vigorosamente con concorrenti domestici.

Per decenni questo sistema ha funzionato. Meno chiaro, opinano certi economisti, è per quanto tempo ancora funzionerà. La stessa Cina sta rapidamente cambiando. Concorrenti con prezzi più bassi come il Vietnam stanno appropriandosi di industrie che hanno contribuito all’ascesa di Pechino. La recessione economica mondiale e il fatto che la Cina già domina alcune industrie cruciali indicano che non può più contare su esportazioni in continuo aumento.

La Cina si è impegnata a diminuire la sua dipendenza dalle esportazioni mediante l’aumento dei consumi domestici. Ma questo richiede un notevole cambiamento di atteggiamento da parte diuna popolazione abituata al risparmio per fronteggiare l’imprevisto. Cambiare questo atteggiamento richiederà tempo.

Infine, c’e’ il debito della Cina. Influenti economisti affermano che la Cina è cresciuta in parte appropriandosi dei risparmi della gente per finanziare treni ad alta velocità, acciaierie e investimenri immboliari speculativi.

Quanto producente quell’investimento statale si rivelerà è argomento di dibattito. Ha certamente aiutato la Cina finora. Ma proprio come l’export non può aumentare all’infinito, ad un certo punto i ricavi dalla costruzione di nuove strade e fabbriche probabilmente diminuiranno anch’essi.

Il governo centrale ha superato svariate crisi debitorie nello scorso decennio, salvando le sue banche dopo investimenti sbagliati. Certi analisti prevedono altri salvataggi dopo che il governo ha iniettato nell’economia denaro a prezzi stracciati dopo la crisi finanziaria del 2008.

Gestione cookie