Ilva, rischio cassa integrazione per 8mila. Sequestro di denaro libera acciaio?

Pubblicato il 23 Gennaio 2013 - 20:11| Aggiornato il 12 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

TARANTO – I magistrati tengono il punto e continuano a dire “no” ad ogni ipotesi del dissequestro dei prodotti realizzati quando l’Ilva di Taranto era ancora sotto sequestro. L’azienda replica con un comunicato in cui minaccia la messa in cassa integrazione di un numero di dipendenti tra i 6mila e gli 8mila in caso di mancato dissequestro.

Lo scontro, insomma, continua anche nel giorno dell’ennesima visita a Taranto del ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Quest’ultimo, continua a chiedere l’applicazione del decreto e sostiene che non c’è un “piano B” per l’Ilva. Una soluzione, ipotizzata il 23 gennaio, potrebbe essere quella  di trasferire il sequestro dai prodotti a somme di denaro. Insomma una sorta di “cauzione” che consentirebbe all’Ilva di vendere i prodotti e pagare così gli stipendi arretrati.

Nonostante il decreto ad hoc e una serie di Consigli dei ministri la vertenza Ilva non trova però soluzione. Anche il 23 gennaio, infatti, i pm hanno espresso parere negativo sull’istanza di dissequestro dei prodotti, e la procura ha chiesto al gip di sollevare una nuova questione di legittimità  costituzionale della legge ‘Salva-Ilva’.Per i pm, l’istanza non ha elementi di novità ed è proposta in una fase di sospensione del procedimento essendo gli atti alla Consulta.

Subito dopo il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, davanti ai sindacati, ha parlato di 6-8mila persone che rischiano la cassa integrazione. Il tempo, insomma, stringe.