ROMA – L’Ilva di Taranto salvata dallo Stato. Molto più che un’ipotesi alla quale si starebbe già lavorando, sulla spinta delle parole pronunciate domenica dal premier Matteo Renzi, l’allarme liquidità solo tamponato dagli ultimi 125 milioni del prestito ponte, e forse anche la prossima campagna elettorale per le regionali pugliesi del 2015, che stanno dando una bella accelerata al dossier Ilva.
Un primo giro di tavolo per un decreto ad hoc per salvare l’acciaieria, sembrava addirittura atteso nella serata di lunedì, ma il provvedimento non è mai stato all’ordine del giorno del Cdm. Le misure, che metterebbero in pratica la linea del premier, dovrebbero prevedere l’intervento di un soggetto pubblico capace, in 2 o 3 anni, di rimettere in sesto l’Ilva, garantire l’occupazione degli 11mila dipendenti, tutelare l’ambiente e poi rilanciarla sul mercato.
Quello che è certo è che, dopo le parole pronunciate un mese fa dall’amministratore delegato di Cassa Depositi Prestiti Giovanni Gorno Tempini, quelle del premier Renzi di domenica confermano l’ipotesi di un intervento pubblico nel risanamento dell’impianto pugliese. Operazione che prevede, solo per il piano di risanamento ambientale un esborso di 1,8 miliardi di euro.
L’avallo di Renzi per un intervento dello Stato, certamente rafforza la posizione del commissario Piero Gnudi nelle trattative con i privati che non sarebbero ancora state accantonate. Il colosso Arcelor Mittal con il gruppo Marcegaglia ha presentato un’offerta non vincolante la scorsa settimana, offerta alla quale il commissario Gnudi dovrà rispondere entro il 19 dicembre. Un’altra offerta non vincolante è stata presentata dal gruppo cremonese Arvedi.
Stando alle parole di Renzi infatti l’arrivo dello Stato sarebbe un’ipotesi da mettere in campo in assenza di acquirenti privati e non insieme a loro. Le ipotesi di un intervento pubblico chiamerebbero in causa Cdp e il suo controllato Fondo Strategico Italiano (Fsi).
Le due società però, per statuto possono investire solo in “imprese in stabile equilibrio economico e finanziario” e quindi non potrebbero intervenire direttamente nell’Ilva. Il veicolo potrebbe dunque essere una newco, affiancata da una cosiddetta bad company dove far confluire le passività. L’ad di Cdp Gorno Tempini anche oggi si è detto pronto a intervenire, ma è necessario che il Governo predisponga il quadro normativo entro il quale muoversi.