Internet lento, burocrazia pensate… perché non si investe in Italia

Pubblicato il 1 Aprile 2012 - 12:12 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Poche autostrade, treni lenti, una burocrazia complicatissima, una giustizia lenta, internet veloce come una lumaca: ecco perché le aziende estere non investono in Italia. A stilare la lunghissima lista dei difetti italiani è Sergio Rizzo sul ‘Corriere della Sera’. Un esempio tra tutti di ciò che scoraggia le aziende estere a investire da noi: dati Cna e Confindustria ci dicono che per avviare un’attività in Italia sono necessari in media 68 adempimenti, con 19 uffici da contattare. Procedure, secondo il rapporto Doing business della Banca mondiale, che richiedono 62 giorni, contro i 36 della Grecia, i 53 della Francia, i 45 della Germania, i 16 dell’Irlanda, i quattro degli Stati Uniti e i due del Canada. E questo è niente, rispetto al dramma della giustizia civile. Per risolvere un’inadempienza contrattuale davanti al giudice ci vogliono 1.210 giorni: più di tre anni. Il quadruplo del tempo necessario in Francia e il triplo rispetto alla Germania. Addirittura avvilente è il confronto con Paesi come Gran Bretagna, dove sono sufficienti 229 giorni, Svezia (208) o Danimarca (190).Voi investireste mai in un Paese così?

Allora non ci stupiamo se secondo l’Ice siamo agli ultimi posti della classifica dei Paesi destinatari degli investimenti esteri con appena 20 miliardi nel 2010. Venti miliardi sono un terzo dei soldi che lo stesso anno sono andati in Francia o a Hong Kong. Un quinto rispetto alla Cina, meno della metà nei confronti della Gran Bretagna. E una cifra due volte e mezzo inferiore perfino a quella incassata dal Belgio.

Sergio Rizzo porta alcuni esempi: Racconta Rodrigo Bianchi che da due anni non riesce a mettere un mattone dell’asilo nido per le mamme impiegate nella fabbrica di Pomezia della Jonhson&Johnson medical, azienda di cui è presidente e che ne sopporterebbe interamente la spesa. Il motivo? «Esplorazioni archeologiche, problematiche amministrative… Vai a sapere…». Fa presente Nando Volpicelli, amministratore delegato di Schneider electric industrie Italia come le nostre infrastrutture siano in una condizione tale che il costo di trasporto per unità di prodotto dallo stabilimento di Rieti della multinazionale transalpina è «di due euro più caro rispetto al Sud della Francia». Aggiunge il suo collega della Procter & Gamble Italia, Sami Kahale, che da noi costa di più anche la pubblicità per il lancio di una novità: mediamente del 30% rispetto alla Gran Bretagna. E il presidente della Ericsson telecomunicazioni Italia, Cesare Avenia, conclude che «il problema dell’Italia non è tanto l’articolo 18 quanto la certezza del diritto, se si considera che ci sono imprese obbligate a reintegrare dopo cause durate anche sette anni dei dipendenti in posti di lavoro che non esistono più».

Ecco la lista dei nostri problemi:

Divario nord-sud. Nel 2006, secondo la Svimez, tutte le Regioni meridionali non assorbivano che lo 0,66% degli investimenti esteri, contro il 68,21% della sola Lombardia. Regione nella quale, dice Invitalia, ci sono 4.433 imprese a partecipazione straniera, contro le 719 dell’intero Mezzogiorno.

Arretratezza delle infrastrutture. Se nel 1970 eravamo al terzo posto in Europa per dotazione autostradale in rapporto agli abitanti, ora siamo al quattordicesimo. Questo nonostante gli italiani vivano praticamente in automobile. Attraverso tutti i principali porti italiani, per i loro problemi strutturali, sono transitati nel 2009 meno container (9 milioni 321 mila teu, l’unità di misura del settore) che nel solo scalo olandese di Rotterdam (9 milioni 743 mila teu).

Per non parlare di internet: la classifica 2010 di netindex.com sulla velocità media delle connessioni internet collocava l’Italia al settantesimo posto nel mondo, dietro Georgia, Mongolia, Kazakistan, Thailandia, Turchia e Giamaica.

Pagamenti delle Pubbliche amministrazioni. Stato italiano ed enti locali onorano mediamente i propri impegni con i fornitori in 186 giorni, contro i 36 della Germania e i 30 stabiliti come termine tassativo da una direttiva dell’Unione europea. Chi viene pagato in sei mesi, però, può ancora ritenersi fortunato rispetto agli sventurati imprenditori che lavorano con la sanità pubblica: nelle Asl calabresi si arriva a tempi di attesa che sfiorano gli 800 giorni. E non esistono strumenti di autodifesa.