La crisi frena anche il “vizio”. 2013: giochi & tabacchi segnano il passo

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Luglio 2014 - 09:37 OLTRE 6 MESI FA
La crisi frena anche il "vizio". 2013: giochi & tabacchi segnano il passo

La crisi frena anche il “vizio”. 2013: giochi & tabacchi segnano il passo

ROMA – La crisi frena anche il “vizio”. 2013: giochi & tabacchi segnano il passo. La crisi non ha risparmiato nemmeno il “vizio”: nonostante anni di boom nel settore giochi, una crescita mostruosa grazie all’introduzione di nuove formule e e la liberalizzazione del gioco online, il 2013 è il primo anno in cui la raccolta segna il passo e in cui le somme giocate sono diminuite. E, sempre nel 2013, per la prima volta lo Stato ha accusato un rosso da 600 milioni.

Giochi.  L’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha pubblicato il cosiddetto Libro Blu dell’Agenzia, in cui vengono esposti tutti i dati relativi al settore relativamente al 2013. Secondo i dati elaborati dall’Amministrazione lo scorso anno la spesa in attività di gioco pubblico è stata di 17.091 miliardi di euro rispetto ai 18.303 miliardi del 2012, registrando dunque una flessione del 6,6 percento. In crescita invece le entrate per l’erario: nel 2013 sono andati alle casse pubbliche 8.179 miliardi di euro rispetto agli 8.037 dell’anno precedente.

La raccolta è stata invece di 84,728 miliardi di euro rispetto agli 88,572 che si erano contati nel 2012. Per quanto riguarda i giochi, sono stati controllati 23.132 esercizi contro i 287.376 del 2012 e sono state accertate 584 violazioni penali contro le 530 dell’anno precedente. Per quanto riguarda invece le attività di contrasto al settore delle scommesse, sono state sono stati controllati 4.072 esercizi contro i 3.693 del 2012 e accertate 372 violazioni penali rispetto alle 351 del 2012. Le attività di contrasto sul divieto di gioco ai minori hanno portato all’accertamento di 68 violazioni con 65 sanzioni irrogate e 37 esercizi sospesi; 4737 invece i siti web irregolari inibiti.

Tabacchi.  L’ammanco per le casse dello Stato è stato nel 2013 di circa 600 milioni di euro. Risorse preziose che il governo non può permettersi di perdere ancora ma che, secondo alcuni studi, potrebbero invece aumentare nei prossimi anni se il sistema di tassazione rimarrà immutato. A studiare il dossier è stato in questi mesi il ministero dell’Economia che sta lavorando fianco a fianco con il ministero della Salute (non sempre su ipotesi largamente condivise) per cercare una soluzione. Gli interessi in campo sono infatti diversificati.

Le posizioni non sono univoche né tra multinazionali del settore, né tra orientamenti politici, tanto che le esigenze dell’Erario e quelle del sistema sanitario non sono le uniche ad avere voce in capitolo. La struttura della tassazione in Italia è infatti largamente proporzionale al costo del pacchetto di sigarette. Se l’Iva è fissa al 22%, l’accisa ha una natura mista: una componente specifica, o fissa, indipendente dal prezzo, pari al 7,5% del totale del carico fiscale (aliquota base + Iva) ed una componente ad valorem, proporzionale appunto al prezzo di vendita e pari ad oltre il 92% del totale. Il braccio di ferro oggi è sostanzialmente tra chi, compreso il ministero della Salute, raccomanda un aumento significativo della componente fissa che avvicini il nostro Paese alla media Ue del 33% e chi invece è contrario ad ogni cambiamento.

La soluzione di compromesso sarebbe dunque quella di un effettivo aumento della parte fissa, ma ben al di sotto della media europea, con un rialzo cioè dal 7,5% al 10%. Anche se c’è chi ancora spinge fino al 15-20%. La guerra al ribasso dei prezzi delle bionde nata in tempi di crisi economica ha finito infatti per penalizzare gli incassi dell’Erario, come evidenziano i dati delle entrate dello scorso anno. Recenti studi universitari, da ultimo quello di Paolo Liberati e Massimo Paradiso del Cefip (Università Roma Tre), sostengono infatti che, in un sistema largamente proporzionale come quello italiano, riducendo il prezzo di marche popolari i grandi produttori possono influenzare la classe di prezzo più richiesta e di conseguenza il gettito.

Il crollo dei prezzi potrebbe essere considerato in apparenza un beneficio per i consumatori, sostengono i due studiosi, ma nasconde in realtà un doppio svantaggio: da un lato, fa dipendere il gettito dello Stato dai posizionamenti strategici dei produttori; dall’altro (e qui sta il motivo per cui il ministero della Sanità spinge per un cambiamento del sistema) contribuisce ad amplificare i danni per la salute, non scoraggiando i consumi ma anzi stimolandoli.