La crisi non è finita, Mosca non crede alle lacrime

Pubblicato il 3 Febbraio 2010 - 15:34 OLTRE 6 MESI FA

In Russia la gente aspettava la ripresa economica, ma questa tarda ad arrivare. Il 2009 è stato l’anno in cui la cinghia doveva essere stretta, sperando che i tempi duri passassero. Siamo nel 2010 e le cose non sono cambiate, la crisi continua a colpire il mondo del lavoro e la disoccupazione parallelamente continua a succhiare nuove vittime.

Lo stesso presidente Dmitri Medvedev lo ha ammesso: il 2009 è stato l’anno più duro per l’economia russa dopo il tracollo del 1998. I dati ufficiali, del resto, non lasciano spazio a dubbi, visto che il Prodotto interno lordo è calato del 7,9%. A questo si aggiunge una situazione macroeconomica dissestata. Il deficit del bilancio pubblico ha quasi raggiunto il 7% del Pil, il tasso di inflazione è oltre il 9%, la disoccupazione attorno all’8%.

La situazione ha iniziato a deteriorarsi circa un anno e mezzo fa, a seguito della crisi finanziaria internazionale e in concomitanza con il conflitto in Georgia, ed ha avuto effetti letteralmente devastanti sull’economia russa. Una decina di istituti bancari di piccole dimensioni sono stati chiusi, la produzione industriale è calata sensibilmente, molte imprese hanno dovuto ricorrere all’aiuto statale o indebitarsi con le banche per rimanere a galla, decine di migliaia di persone hanno perduto il posto di lavoro e altrettante hanno visto il proprio salario fortemente ridotto. Ora la situazione sta lentamente migliorando, ma il colpo è stato durissimo.

Alla luce degli elevati e costanti tassi di crescita registrati a Mosca nei dieci anni precedenti, si tratta di una sequenza di dati stupefacenti, soprattutto se si paragona l’impatto della crisi internazionale sull’economia russa a quello registrato in altri Paesi emergenti, come Cina, India e Polonia, dove la crescita ha subito solo un rallentamento. In realtà, la spiegazione è piuttosto semplice: dopo la transizione al capitalismo, la Russia non ha saputo creare un sistema economico equilibrato e ha continuato a dipendere quasi esclusivamente dallo sfruttamento e dall’esportazione delle risorse naturali del proprio ricco territorio. Petrolio, innanzitutto, ma anche metalli e carbone. In questo modo, il Paese dipende dalle fluttuazioni del commercio internazionale di materie prime e quando il resto del mondo ne acquista meno, il sistema va in tilt.

Anche la ripresa che al Cremlino auspicano arrivi nel 2010 dipenderà essenzialmente dal previsto aumento dei prezzi del petrolio e non da una strategia di sviluppo industriale. Ci sarebbe da aspettarsi di più da un Paese che aspira a giocare un ruolo di peso nell’economia globale.