“La finanza locale”, il libro che mette in discussione il federalismo fiscale

di Lorenzo Briotti
Pubblicato il 19 Gennaio 2010 - 16:14 OLTRE 6 MESI FA

La legge che riorganizza la finanza pubblica italiana attraverso l’introduzione del federalismo fiscale presenta per quanto riguarda la distribuzione delle risorse a livello locale, ancora molti aspetti irrisolti.

È questa la conclusione a cui sono giunti gli autori Marcello Degni e Antonio Pedone de “La finanza locale: Struttura, finanziamento e regole. Rapporto sulla finanza locale del Lazio 2009” presentato a Roma alla facoltà di Economia dell’università La Sapienza.

Gli autori contestano alla legge sul federalismo fiscale il modo in cui le risorse vengono redistribuite. Secondo le intenzioni, gli enti locali dovrebbero raggiungere un “criterio di autosufficienza” del proprio fabbisogno calcolato in base non più alla spesa storica ma bensì in base a quella dei costi standard. Per intenderci, prendendo come esempio le regioni, lo Stato dovrebbe passare da un finanziamento che è sempre costante nel tempo ad uno che stabilisce la cifra da dare in base al contesto e al tipo di servizio che viene erogato anche in relazione alle altre regioni.

Però, come scrive Antonio Pedone «l’adozione della spesa standard in sostituzione della spesa storica è complicata dalla carenza di informazioni sull’ampiezza e la qualità dei servizi offerti, sulla loro valutazione da parte dei cittadini e dal significato stesso da attribuire alla nozione di spesa standard nella ripartizione delle risorse».

Gli autori prendono come esempio la sanità: «Le diversità regionali nei livelli e nella spesa sanitaria pro-capite non possono considerarsi automaticamente un indicatore del grado di efficienza nell’impegno delle risorse, in quanto riflettono anche diversità nei bisogni oggettivi che sono anche alla base di una diversa domanda e ricorso a prestazioni pubbliche di servizi sanitari».

Secondo gli autori i bisogni di spesa oggettivi dipendono «dalla struttura per età della popolazione e dal livello del reddito, che sono profondamente diversi tra le varie regioni italiane» e lo stesso discorso potrebbe essere allargato anche all’istruzione.

Così con la riforma e l’introduzione della spesa standard si rischierebbe di accrescere le diversità approfondendo le già profonde disparità e diseguaglianze esistenti da tempo nelle diverse aree del paese. Nel campo della sanità poi rimarrebbero tutte le ambiguità che non portano alla responsabilizzazione di chi gestisce le risorse.

Un aspetto importante del passaggio dalla spesa storica a quella standard è quello del fondo perequativo, ossia la quota di risorse che vengono destinate alle singole regioni dallo Stato centrale per far sì che alcuni servizi siano omogenei in tutto il paese. Come vengono individuate le risorse giudicate sufficienti? Con il federalismo fiscale, si dovrebbe agire calcolando un patto di convergenza che servirebbe a far raggiungere un livellamento dei costi e dei fabbisogni standard individuati attraverso gli “obiettivi di servizio e i livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali”.

Secondo Marcello Degni, «è forse possibile avviare una ricognizione dei fabbisogni dei principali beni pubblici, ardua appare la determinazione di comuni curve di costo. A meno che l’intento sia quello di semplificare applicando medie più o meno ponderate a scapito dei livelli essenziali».

Sono state passate in rassegna anche alcune distorsioni tipiche della “retorica federalista”. Un elemento su tutti è quello sui dati, che indicano come l’Italia sia in parte già un paese federalista. Calcolando infatti la redistribuzione delle risorse totali che vanno allo Stato centrale e quelle che vanno agli enti locali, il nostro paese ha dei valori simili agli altri paesi europei. In un quadro in cui tutti i tentativi di allontanarsi dalla spesa storica sono falliti, le quote tributarie che vanno agli enti locali sul totale sono addirittura cresciute dal 1980 al 2007, per poi subire un decremento dovuto all’abolizione dell’Ici tra il 2007 e il 2008.

Il libro studia come caso la Regione Lazio. Marcello Degni prende come esempio le politiche adottate in Regione utili all’allontanamento del rischio del “bail out” (il fallimento) dei conti regionali dovuto al dissesto finanziario provocato da decenni di gestione “allegra” della sanità. Così, se per risanare il debito viene deciso tramite legge nazionale l’aumento di qualche tassa, il “terrore dell’imposizione fiscale” porta i responsabili della Regione a promettere quasi in contemporanea una riduzione delle tasse, privando così la Regione degli adeguati strumenti interni di responsabilizzazione.