Con la laurea breve sei precario e guadagni come un diplomato

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 24 Gennaio 2012 - 12:03 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Con la laurea breve un lavoro si trova pure, ma a stipendi così bassi che a quel punto un diploma andava bene lo stesso. Il rapporto della Fondazione Agnelli sulla riforma del 3+2 getta luci e ombre sul nuovo impianto universitario in relazione all’ingresso nel mondo del lavoro. A dodici anni dalla sua introduzione voluta dall’allora ministro Berlinguer e non toccata dalla più recente riforma Gelmini. In sostanza, la laurea breve mostra di aver aumentato il numero dei laureati con una base sociale più allargata nell’accesso allo studio “terziario” nell’ultimo decennio. Ma questa tendenza ha subito una brusca inversione: la riduzione delle immatricolazioni dopo il picco dell’esordio ne segna il parziale fallimento.

Dall’anno accademico 2008-2009 gli iscritti per la prima volta al sistema universitario sono scesi sotto i 300mila, numero basso e poco confortante se paragonato ai 330mila dei primi anni Duemila o al picco dei 370mila degli anni Novanta. Al netto delle tendenze demografiche, il rapporto tra 19enni e immatricolati era 45% nel 2000, è salito a 56% nel 2003 per scendere a 47% nel 2009. L’appeal della laurea breve è andato via via evaporando: in più, si ragiona nelle famiglie, perché perdere tempo altri tre anni piuttosto che andare subito a lavorare visto che in busta paga prendi lo stesso? Ragionamento comprensibile ma, tutto sommato, ingiusto, visto che sul lungo periodo la laurea dà i suoi frutti. Preoccupazione sufficiente, però, a scoraggiare le immatricolazioni.

Se il titolo si è svalutato, una parte di responsabilità va addebitata anche alle imprese. Hanno difficoltà a distinguere tra i diversi tipi di laurea, triennale o specialistica, loro vogliono solo nuovi assunti che sappiano l’inglese, non siano digiuni di nuove tecnologie e sappiano lavorare in team. Il sociologo De Masi, imputa alle aziende anche l’abbandono delle scuole di formazione, capaci di integrare e aggiornare le competenze maturate all’università. Senza tali aggiornamenti il neolaureato può trovarsi comunque fuori dal contesto formativo adeguato alle sfide della produttività e della competizione.

La laurea breve è stato un boomerang? Complice la sopravvenuta grave crisi economica, ha formato lavoratori sempre più precari e con stipendi sempre più bassi. La forbice, lo spread diremmo oggi, tra il reddito di laureati e diplomati è crollato ai minimi termini. Solo all’inizio della carriera un diplomato prendeva il 20% in meno di un laureato. L’entusiasmo per la scelta progressista di inserire nel ciclo produttivo giovani laureati da famiglie che non hanno mai conosciuto l’università, lascia il posto ora a una certa sfiducia. La produttività, infine, non è cresciuta insieme all’accumulazione di capitale umano: una delusione, i nuovi laureati possono esibire un titolo migliore, ma non un livello di competenze comparabile con i predecessori.