Lavoro: 30mila assegni di ricollocazione. Ma se non accetti il posto perdi il Naspi

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Marzo 2017 - 09:03 OLTRE 6 MESI FA
Lavoro: 30mila assegni di ricollocazione. Ma se non accetti il posto perdi il Naspi

Lavoro: 30mila assegni di ricollocazione. Ma se non accetti il posto perdi il Naspi

ROMA – Lavoro: 30mila assegni di ricollocazione. Ma se non accetti il posto perdi il Naspi. Erano state annunciate all’inizio di febbraio, ora che Governo e Regioni hanno trovato il compromesso, 30mila lettere sono in procinto di essere spedite ad altrettanti disoccupati scelti tra i 400mila che in Italia possono contare sulla Naspi, l’indennità di disoccupazione. Si tratta di una proposta – prendere o lasciare – che assegna un “bonus di ricollocazione”, una dote per trovare più agevolmente una nuova occupazione.

Si tratta dell’avvio della sperimentazione nelle politiche attive del lavoro per cui il disoccupato si mette in gioco: se aderisce deve accettare il nuovo posto che entro sei o dodici mesi gli verrà assegnato pena il decadimento o la riduzione del Naspi stesso. L’assegno dura sei mesi e può essere prorogato per altri sei mesi. Si può chiedere solo se e’ in corso l’erogazione della Naspi da almeno 4 mesi ma resta in vita, se assegnato, anche una volta esaurita la Naspi.

Chi fosse interessato a giocarsi la partita per la conquista del posto sarà invitato a collegarsi al portale dell’Anpal (www.anpal.gov.it). Qui dovrà registrarsi rispondendo a una serie di domande (in che regione risiede, titoli di studio, ecc.). Al termine gli sarà assegnato un punteggio. E in base a questo sarà anche informato dell’assegno che gli spetta. Il valore andrà da un minimo di mille fino a 5.000 euro (il criterio sarà la difficoltà a ricollocarsi). Sul portale dell’Anpal i disoccupati sceglieranno anche con chi spendere la loro «dote». Quindi con un centro per l’impiego pubblico o con un’agenzia privata. Potranno contare su un tutor e un colloquio di tre ore per mettere a punto un bilancio delle competenze. (Rita Querzè, Corriere della Sera)