Lavoro: troppi contratti (24) e troppi precari (85% dei neoassunti). Mappe-numeri

di Redazione Blitz
Pubblicato il 16 Ottobre 2014 - 06:30 OLTRE 6 MESI FA
Lavoro: troppi contratti (24) e troppi precari (85% dei neoassunti). Mappe-numeri

La mappa dei contratti più diffusi sul Corriere della Sera (clicca sull’immagine per ingrandire)

ROMA – Troppi contratti e troppi precari: questa la fotografia scattata dai dati Istat e da una ricerca dell’Università La Sapienza, numeri messi in fila da Enrico Marro sul Corriere della Sera.

La mappa dei contratti: in Italia ci sono 50 diverse forme contrattuali e paracontrattuali (stage, tirocini, dottorandi) di cui 24 sono le più utilizzate. Di queste solo 2 prevedono un’assunzione a tempo indeterminato. Le ha censite Davide Imola, dell’Osservatorio dei Lavori diretto dal professor Patrizio Di Nicola dell’Università La Sapienza. Ecco le 24 più diffuse:

LE FORME PRINCIPALI 
OCCUPATI PER TIPOLOGIA, II trimestre 2014

Rapporti subordinati
(Fonte: Istat – Corriere della Sera)
Contratto di lavoro dipendente
a tempo indeterminato
Contratto di lavoro dipendente
a tempo determinato
Contratto di lavoro dipendente a tempo
indeterminato, part time verticale
Contratto di inserimento
Contratto di formazione e lavoro
(solo settore pubblico)
Contratto di apprendistato 1
Apprendistato in alternanza
Somministrazione
Contratto di lavoro a chiamata
Job sharing
Lavoro a domicilio
Telelavoro subordinato

Rapporti parasubordinati (lavoro autonomo)
Lavoro a progetto
Collaborazione coordinata e continuativa

Rapporti di lavoro autonomo e d’impresa
Prestazioni occasionali
Prestazioni d’opera individuale
Agenti di commercio
Coadiuvanti
Contratto d’edizione con cessione
dei diritti d’autore
Imprese

Rapporti speciali
Associazione in partecipazione
Venditori a domicilio
Lavoro domestico
Lavoro accessorio

Forme non considerate rapporti di lavoro
Stage e tirocini
Dottorandi e assegnisti di ricerca
Specializzandi

I numeri del lavoro. Sui 24 contratti di lavoro più usati, 22 disciplinano rapporti precari. E ci sono altri dati che fotografano ancora meglio la situazione. Quelli del rapporto del II trimestre 2014 delle Sistema delle Comunicazioni Obbligatorie diffuso dal Ministero del Lavoro (scarica il pdf)

Sui 22,5 milioni di occupati in Italia, 17 milioni sono i lavoratori dipendenti e 5,5 gli autonomi. Fra i dipendenti, quelli assunti a tempo indeterminato sono l’85%, 14,5 milioni. Cifra e percentuale che dovrebbe farci dire che non siamo un Paese malato di precariato. Ma non si spiegherebbe l’impennata del lavoro a tempo parziale, passato dai 3 milioni di precari nel 2000 ai 4,1 milioni nel 2014.

Basta guardare ai rapporti di lavoro avviati fra aprile e giugno 2014 per accorgersi della gravità della malattia. Su 2.651.648 nuovi contratti firmati di lavoro dipendente e parasubordinato, solo 403.036 sono posti fissi, a tempo indeterminato: vale a dire solo il 15%.
I rapporti di lavoro precari avviati nel secondo trimestre 2014 sono invece l’85%: 1,84 milioni a tempo determinato (70%), 153 mila con contratti di collaborazione (5,8%) e quasi 82 mila (3,1%) con contratti di apprendistato.

Se il lavoro che arriva è precario, è precario anche il lavoro che se ne va: ancora più evidente è infatti il dato dei rapporti di lavoro cessati (fine contratto, pensione, dimissioni, licenziamenti): su 2,4 milioni, solo 381 mila (15%) sono contratti durati più di un anno. Mentre 956 mila erano durati massimo un mese, questo il 40%. In 170.507 casi di 2-3 giorni. In 403.760 era stato di un solo giorno (16,6%).

Scrive Enrico Marro sul Corriere della Sera:

«Quello che è successo, anche in Italia, all’inizio degli Anni 2000, è che per fare un mercato del lavoro più flessibile si sono creati nuovi contratti estremamente flessibili. Immaginate persone che lavorano per 6-7 anni con contratti di un mese come accadeva in Spagna, e in Italia la media poteva essere poco più lunga. Da sé ne viene che cresce l’incertezza dei giovani e si deprime la domanda». Quest’analisi è stata fatta un paio di giorni fa non, come sarebbe plausibile, dal leader della Fiom Maurizio Landini, ma dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, per spiegare alla platea del Brookings Institution, il prestigioso think tank di Washington, la debolezza del mercato del lavoro nel Vecchio Continente.

Solo così, oltre che con gli effetti della crisi, si può infatti spiegare l’esplosione del lavoro a tempo parziale, passato da meno di 3 milioni di addetti nel 2000 a 4,1 milioni nel 2014.