Grosso guaio a “Money-City”: l’Inghilterra (ri)scopre le sue banche bugiarde

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 3 Luglio 2012 - 18:14| Aggiornato il 24 Gennaio 2013 OLTRE 6 MESI FA
La sede di Barclays a Londra (LaPresse)

LONDRA – Che cos’è il Libor? È una risposta a questa domanda che ogni mattina veniva fatta a un numero fra le 6 e le 18 banche, su un campione complessivo di 108: “A che tasso di interesse ritieni di poter prendere soldi in prestito da altre banche?”. La risposta che davano Barclays, RBS e un’altra ventina di banche inglesi era una bugia. Le conseguenze di questa menzogna quotidiana si ripercuotono su una platea vastissima, perché i 150 tassi di riferimento Libor (15 scadenze per 10 valute – sterlina, dollaro, euro, yen…) ogni giorno alle 12 appaiono su milioni di schermi di operatori finanziari e in base a questi tassi vengono scambiati, sempre ogni giorno, 350 trilioni di dollari: da Londra passa il 20% del mercato interbancario e un terzo delle transazioni forex mondiali. Non si tratta solo di sofisticati prodotti finanziari, ma anche di mutui che riguardano la vita di milioni di famiglie nel mondo.

Un classico della finanza, che un battito d’ali di una farfalla a Singapore provochi terremoti in Scandinavia. Ma in questo caso non era un battito d’ali, era un comportamento diffuso anche se sempre di un club molto ristretto di persone. Infatti è una sola la figura che ogni banca incaricava di comunicare con il Libor.

Che interesse avevano le banche inglesi a “taroccare” il Libor? Lo abbassavano quando volevano mostrarsi più forti, gonfiare il petto con i rivali. Dire che il tasso al quale si pensa di finanziarsi è basso significa dare l’idea che la propria banca è solida, lontana da difficoltà finanziarie. Lo alzavano quando volevano incassare profitti (e quindi i bonus dei manager della banche).

Se aggiungi che questo arriva buon ultimo dopo un decennio abbondante di scandali finanziari iniziato con quello delle Ipo gonfiate da molte banche d’affari alla fine degli anni 90; il fallimento improvviso della multinazionale statunitense Enron, fallimento che mandò sul lastrico i dipendenti mentre fece guadagnare milioni di dollari ai vertici della società che vendettero tutte le loro azioni prima del crac; si prosegue con la bolla dei mutui subprime, la vera e propria piaga speculatoria dei prestiti concessi a interessi vicini all’usura – spesso per l’acquisto della prima casa – a clienti a rischio di insolvenza. I primi effetti negativi si iniziarono a vedere nel 2006 e proseguono ancora adesso, con un danno stimabile in 5.000 miliardi di dollari.

E poi ancora, 2008: il buco di 5 miliardi di euro nel bilancio di Société Générale che raccontarono senza convincere del tutto che fu provocato da un trader spericolato; il fallimento della banca d’affari statunitense Lehman Brothers, sempre nel 2008, a settembre; la falla di 2,3 miliardi provocata da un trader ghanese in Ubs e quella di 9 miliardi (presunti, forse è ancora più grande) provocata nei conti di JP Morgan dal trader francese Bruno Iksil, a capo di una sezione dedicata a imprese “corsare” nel ramo rischioso dei derivati e delle Credit default swap (in pratica scommesse sui fallimenti).

Lo scandalo del Libor, di Barclays, RBS e delle banche inglesi che falsavano i tassi intanto è diventato una tempesta che si gonfia ogni giorno di più. Si è dimesso il presidente di Barclays, Marcus Agius, e dopo poche ore anche l’amministratore delegato Bob Diamond. Alla banca è arrivata una multa record di 290 milioni di sterline (360 milioni di euro). Mentre su RBS si sta per abbattere una sanzione di 150 milioni di sterline (186 milioni di euro). Non finisce qui perché la truffa-Libor tocca anche il vicegovernatore della Bank of England, Paul Tucker.

Pare infatti che il vertice di Barclays credesse di aver avuto sui Libor una sorta di nulla osta della Bank of England. Le indagini – stando al Times – si sono concentrate su una telefonata avvenuta fra Tucker e Bob Diamond nell’ottobre del 2008, nel pieno della crisi finanziaria. Diamond al tempo era il capo del ramo investimenti. ”Mentre il contenuto di quella telefonata veniva tramandato nella linea di comando”, recita il rapporto della FSA, ”ci sono stati dei fraintendimenti o delle mancanze”. L’autorità britannica sostiene che Tucker non istruì Diamond di truccare il Libor.

Però ci sono dei testimoni che riportano che Tucker e Diamond hanno ora diverse opinioni sul contenuto di quella telefonata. Un balletto, questo, che certo non contribuisce a placare gli animi e le recriminazioni incrociate. La City è sotto indagine e non c’è giorno che i partiti – i Tory del premier David Cameron e i Labour di Ed Miliband – non si rinfaccino l’un l’altro di aver avuto la mano debole con le banche. E non c’è commissione d’inchiesta che tenga.