Licenziamenti, casse integrazione, fughe all’estero: le aziende “spazzate via” dalla crisi

Pubblicato il 3 Giugno 2010 - 16:20 OLTRE 6 MESI FA

Manifestazione contro la chiusura della Alcoa

La crisi “divora” le piccole imprese e le aziende italiane hanno due possibilità: o “chiudere i battenti” o “emigrare” all’estero, in Paesi dove i costi sono più sostenibili. In ciascun caso, a rimetterci sono i lavoratori, che rimangono “a spasso”.

Che si tratti di fallimento, chiusura per fine produzione o delocalizzazione, le cronache di questi mesi raccontano sempre più spesso di cancelli chiusi, macchinari in disuso, magazzini dismessi. E di lavoratori che finiscono per strada, e che si aggrappano al salvagente effimero della cassa integrazione.

Repubblica.it ha raccolto alcuni casi delle aziende che sono state “spazzate via” dalla crisi e che adesso lasceranno nell’incertezza il futuro di migliaia di operai e delle loro famiglie.

Omsa. Il “braccio di ferro” tra proprietà e dipendenti è cominciato a gennaio, quando è stata annunciata la chiusura dello stabilimento di Faenza. Le acque si sono placate con la concessione della cassa integrazione, poi è cominciato lo smantellamento della fabbrica che produce calze. Secondo i sindacati, i proprietari sono intenzionati a trasferire “baracche e burattini” in Serbia. Gli esuberi previsti sono 350.

Playtex. Nella fabbrica di Pomezia, in provincia di Roma, saranno licenziati 120 operai (la maggior parte sono donne). Qui per anni sono stati prodotti i reggiseno Criss Cross e Wonderbra. Ora la proprietà sposterà la produzione a Bergamo.

Nuova Pansac. Era il simbolo del “miracolo Mantova”, ora è una delle aziende più in crisi del Nord Italia. Il proprietario è Fabrizio Lori, il “re dei pannolini” che acquisì la società di calcio virgiliana portandola alle soglie della Serie A. Il 4 maggio Lori annuncia che gli esuberi saranno 501 su 856 dipendenti. Sindacati e istituzioni insorgono: l’accordo raggiunto prevede cassa integrazione da subito per per un massimo di 450 operai.

Teleperformance. Qui il “ciclone crisi” è diventato uno “Tsunami”: il 2 aprile la comunicazione mette ufficialmente “in mezzo a una strada” ben 1.000 dipendenti. I proprietari “scaricano il barile” sul governo per aver “alterato la concorrenza” indebolendo le piccole imprese che hanno messo in regola i lavoratori. Gli esuberi sono 700 a Taranto e 300 a Roma.

Phonemedia. Il simbolo della lotta dei “precari”. Stabilimenti in 10 città diverse, circa 7 mila lavoratori non ricevono stipendio da 8 mesi. Alla fine sono ricorsi alla magistratura e solo così riusciranno a ottenere (chissà quando) la cassa integrazione.

Berni. I lavoratori a rischio sono 57, tutti dello stabilimento di Gragnano Trebbiense, nel Piacentino. Il Consorzio padano ortofrutticolo (Codorno), cioè la proprieta, pensava di spostarli a Collecchio. Ma i proprietari si sono scontrati con i sindacati, che hanno ricordato la promessa di rilanciare la sede di Gragnano. L’azienda, che opera nel settore alimentare, è quella che produce il Condiriso.

Alimentare. Tanti timori anche per i lavoratori di altre fabbriche simboliche per l’alimentare “made in Italy”. A rischio 50 dipendenti della Battistero di Parma, che produce panettoni, 40 della Fini di Modena, azienda leader per i tortellini. Ma soprattutto tremano i 600 dipendenti della Findus di Cisterna (Latina): temono che i proprietari chiudano i battenti entro la fine dell’anno.

Bialetti. La Bialetti è la caffettiera per eccellenza: diverse generazioni di italiani l’hanno usata e continuano a usarla ancora oggi. Ora 120 dipendenti dello stabilimento di Crusinallo di Omegna (Verbania) sono rimasti senza lavoro dopo aver scoperto che la proprietà ha intenzione di “sbaraccare” per andare nelle più “economiche” Cina e Romania.

Maflow. L’azienda produce impianti di condizionamento per auto e per anni ha rifornito la Bmw. Ora la casa automobilistica tedesca ha ritirato la commessa e la fabbrica è entrata in crisi. La Maflow ha due stabilimenti: a Trezzano sul Naviglio (330 cassaintegrati da un anno) e ad Ascoli Piceno (110 dipendenti a rischio).