L’Iraq e la sfida del petrolio. Le compagnie internazionali all’assalto dell’oro nero dopo 30 anni

Pubblicato il 29 Giugno 2009 - 20:16 OLTRE 6 MESI FA

L’obiettivo è quello di ritornare al vecchio splendore, portando il paese tra i primi tre produttori mondiali di greggio. Un futuro senza barili e giacimenti è difficile da immaginare per Baghdad. Il 90 per cento delle entrate governative viene dal petrolio e il livello deve rimanere tale per risollevare le sorti dell’economia del paese. Secondo il ministro del petrolio iracheno Hussein Shahristani, solo grazie al contributo delle compagnie estere sarà possibile dare una spinta all’industria nazionale.

Nel progetto del ministro la partita si muove sull’esplorazione di giacimenti già esistenti, tra cui Rumaila (17 miliardi di barili di riserve) West Qurna e Kirkuk.  Ma al di là degli oggettivi rischi di sicurezza l’Iraq è ancora un paese inesplorato, in grado di offrire alle grandi compagnie un potenziale di crescita piuttosto incoraggiante.  Per molti l’apertura di Baghdad nel campo petrolifero potrebbe essere la più importante dopo la scoperta dei giacimenti di Kashagan, nel Mar Caspio, nel 2000.

Sono circa 120 le compagnie che hanno mostrato interesse  nei confronti delle nuove concessioni, ma risultano solo 35 quelle che hanno i requisiti per la corsa ai pozzi, tra cui la Exxon Mobil Corp., la Royal Dutch Shell, l’Eni, la Lukoil e la China Petroleum & Chemical corporation. Il processo di attribuzione dei diritti di sfruttamento alle major estere dei sei giacimenti di petrolio e dei due di gas, era prevista per il 28 giugno, ma secondo il portavoce del Ministero  Assem Jihad, è stata posticipata a causa di una tempesta di sabbia.  Il potenziale stimato, di 43 miliardi di barili, fa gola alle multinazionali che sono attratte anche dai costi di estrazione bassissimi.

A insidiare il piano di Sharistani restano, oltre al maltempo, i dissapori politici tra la maggioranza sciita al governo e i curdi, che si oppongono all’ingresso delle multinazionali straniere: l’obiezione ufficiale è che il paese è in grado di gestire l’oro nero da solo, così come la propria sicurezza, ma in realtà la popolazione curda mira a mantenere il potere sui giacimenti, con chiari interessi economici.

Ma da un lato si parla di quantità enormi di greggio che andrebbero in mano straniera, dall’altro l’Iraq ha disperatamente bisogno di supporto tecnologico, che le compagnie estere sarebbero in grado di dare al paese.