L’Italia può chiedere le ritenute sugli affitti brevi. Per la Corte Ue non ostacola Airbnb

Federalberghi canta vittoria, ma per i giudici di Lussemburgo non si può imporre la designazione di un rappresentante fiscale.

di Daniela Lauria
Pubblicato il 22 Dicembre 2022 - 20:17 OLTRE 6 MESI FA
L'Italia può chiedere le ritenute sugli affitti brevi. Per la Corte Ue non ostacola Airbnb

L’Italia può chiedere le ritenute sugli affitti brevi. Per la Corte Ue non ostacola Airbnb (Foto Ansa)

L’Italia può chiedere le ritenute d’imposta anche sugli affitti brevi. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione Europea dando torto al colosso Airbnb nel ricorso sul regime fiscale italiano per le locazioni brevi introdotto nel 2017. Una vittoria per il mondo degli alberghi che puntano a ristabilire una parità di concorrenza con le piattaforme online per prenotare le case vacanza. 

Il giudice di Lussemburgo ha dato invece ragione ad Airbnb sulla parte relativa all’obbligo di designare un rappresentante fiscale introdotto sempre con la legge n.96 del 21 giugno 2017, giudicato “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”. Il fatto che l’amministrazione fiscale disponga già delle informazioni ad essa trasmesse relative ai contribuenti, segnala la Corte, è tale da semplificare il suo controllo e dà ancor più rilevanza al carattere sproporzionato dell’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale.

L’obbligo di ritenuta d’imposta alla fonte

L’obbligo di ritenuta dell’imposta alla fonte s’impone, secondo i giudici europei, tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento. La Corte esclude, dunque, che sia possibile ritenere che detto obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi.

Il faro resta comunque sul recupero dei versamenti pregressi della ritenuta del 21% sui corrispettivi riscossi, in una controversia che va avanti da quasi sei anni.

La sentenza della Corte interviene del resto su altri aspetti del ricorso, dando ragione all’Agenzia delle Entrate quando chiede di obbligare Airbnb a raccogliere e comunicare i dati sui contratti di locazione siglati. Mentre no, affermano i giudici a Lussemburgo dando invece ragione ad Airbnb, non si può imporre anche la designazione di un rappresentante fiscale in Italia (il ricorso è di Airbnb Ireland e Airbnb Payments Uk). 

La posizione di Federalberghi

Federalberghi, che nella causa è intervenuta al fianco dell’Agenzia delle Entrate, ha subito espresso soddisfazione. “L’evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza”, ha sottolineato il presidente Bernabò Bocca. Ora sarà il Consiglio di Stato, ha aggiunto, a doversi pronunciare recependo la sentenza, per consentire al Fisco di recuperare le imposte non pagate “durante sei anni di sfacciata inadempienza, applicando le relative sanzioni”.

La posizione di Airbnb

Airbnb ha sottolineato la propria massima collaborazione in materia fiscale per un corretto pagamento delle imposte degli ‘host’ in applicazione al quadro europeo di riferimento (Dac7). “L’azienda non è dotata di un rappresentante fiscale in Italia che possa svolgere da sostituto d’imposta”, ha segnalato sottolineando che al riguardo la Corte le ha dato ragione.

“In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva Ue in materia”. Ad aprile il Centro studi di Federalberghi aveva stimato che negli anni di mancata applicazione Airbnb ha omesso di versare imposte per oltre 750 milioni di euro.