La matematica rotta di Landini e il naso arricciato di Marchionne

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 11 Gennaio 2011 - 14:46 OLTRE 6 MESI FA

Maurizio Landini, segretario Fiom, è in questi giorni, sere e mattine per ogni dove in radio, giornali e televisione. Spesso in contemporanea-alternativa con il ministro Maurizio Sacconi. Sacconi, più che alternativa, è antidoto ai mesti e rassegnati pensieri che il Landini-pensiero induce. Sacconi politico è infatti un ossessivo-compulsivo, bloccato e concentrato sul suo contatto con il mondo tanti anni fa. Era nel Psi, partito socialista italiano, Sacconi. E il Psi, quello di Craxi, De Michelis, Martelli, Formica, considerava Sacconi un alunno secchione, ma non di quelli che “potrebbe fare di più se si impegnasse”. Si impegnava Sacconi, ma i suoi lo trattavano con indulgente sufficienza. La cosa deve averlo a suo tempo colpito, segnato. E ancor più Sacconi era stremato dalla circostanza per cui gli altri, quelli che socialisti non erano, quando qualcuno del Psi diceva: parlate con Sacconi, allora replicavano: vorremmo parlare con qualcuno che conta. Esperienze che segnano una vita, e infatti Sacconi ha sviluppato una sorta di misticismo politico: è diventato una sorta di missionario della religione di Stato, religione che comanda di estirpare il male e il peccato dalla società. Il male e il peccato, cioè la sinistra. Sacconi, e come lui Brunetta, sono due ministri stile Tea Party e Tea Party sostanza. Per cui, quando parla di Fiat, Sacconi sgrana solo e sempre il rosario del Te Deum a chiunque e qualunque cosa spezzi le reni ai “rossi”, al sindacato, insomma agli infedeli usurpatori che uccisero il Psi. Sentire Sacconi è dunque un antidoto a Landini, però non basta, l’antidoto attenua ma non cancella.

Non cancella la strana matematica del leader Fiom. Come si fa a contarsi secondo Landini? Con il referendum no dice lui, perché il referendum è votare sotto ricatto. Dunque, se i lavoratori di Mirafiori approvano il contratto scritto da Marchionne, secondo Landini è perché non sono uomini liberi ma ricattati. E il ricatto è: o questo contratto o la Fiat se ne va. Dunque, il referendum non vale. Si potrebbe obiettare a Landini che tutte le volte che gli umani votano qualcosa lo fanno sotto il “ricatto” delle condizioni materiali e storiche in cui votano e che la democrazia è proprio quel sistemuccio che decide di accettare il responso di una votazione, altrimenti nulla si decide mai e nessuno mai acquisisce il diritto e l’autorità per decidere. Ma inseguiamo pure Landini nella sua matematica: il referendum no, non è così che ci si conta. E allora ci si conta con le tessere sindacali, quelle che dicono che la Fiom ha con sè il 13 per cento dei lavoratori di Mirafiori? No dice Landini: questo metodo, questo contare è astratto e fuorviante. E allora come ci si conta? L’unica maniera per contarsi secondo Landini è contarsi in assemblea. Ma in assemblea, anche Landini lo sa, non ci si conta davvero. Ci si scontra, ci si esalta, ci si condiziona, ci si trascina, talvolta ci si intimidisce. Gli umani nei secoli del loro agire e riflettere sul come vivere insieme hanno imparato che in assemblea si discute ma che per votare sono assai meglio altri luoghi e altre modalità. Ma in fondo Landini non vuole e non idealizza neanche una conta in assemblea, il Landini-pensiero, ma non solo suo, vuole che non ci si conti. La democrazia secondo Landini risponde ad altra matematica: quella per cui se non dicono tutti sì, se qualcuno dice no, allora è “democratico” fermarsi fino a che quelli del no non ottengono soddisfazione per dare il loro sì.

Ecco allora perché l’antidoto Sacconi non basta più a reggere Landini in tv. Perché al “ricatto” di Marchionne Landini altro “ricatto” oppone, quello del non ci si conta mai e, anche se ci si conta, la mia parola è genuina, sincera, pura, mentre la tua è viziata, traditrice e costretta. E in nome di cosa il ricatto di Landini è “nobile” mentre quello di Marchionne è “ignobile”? Elementare, Watson: Landini è gli operai, la classe operaia, gli sfruttati, quelli “a 1300 euro in fabbrica e andateci voi prima di parlare”. Qui, proprio qui c’è qualcosa che a Landini non si può perdonare: l’aver equiparato e ridotto gli operai, la classe operaia a benzinai o avvocati. La sinistra, tanto più radicale e alternativa, una volta era tale, forse Landini lo ha letto o forse no, perché riteneva che incarnando e difendendo gli interessi di alcuni ceti della società faceva in quel modo l’interesse generale della società. Spesso fu illusione, spesso tragica. Ma era un perché stare al mondo a fare politica, era la ragion d’essere della sinistra. Gli operai, ma non perché guadagnano poco o lavorano tanto, questo accade non solo agli operai. Gli operai perché il miglioramento della loro condizione lavorativa e sociale “liberava le forze produttive…”. Rimasuglio libresco? Per nulla. Cosa fa un sindacato, un uomo, una donna di sinistra di fronte al contratto Marchionne? Gli dice: tu vuoi maggior produttività, cioè lavorare di più, produrre di più con costi minori. Bene, noi te la diamo la produttività, perchè serve alla Fiat, a Torino, all’Italia, a quelli che lavorano nell’indotto, al bilancio pubblico, ai negozianti, insomma all’interesse generale. Te la diamo la produttività perchè senza le automobili costano troppo per essere vendute. Tu poi vuoi una fabbrica sotto controllo. Bene, al controllo parecipiamo anche noi: scambiamo la produttività, cioè la fatica con occupazione, posti di lavoro, scambiamo abbassamento dei costi con investimenti controllati in ricerca e innovazione. Questo pensava la sinistra, riformista o alternativa che sia.

Invece Landini dice che gli operai non hanno nulla da scambiare, che l’interesse generale non lo riguarda. Landini riduce gli operai a benzinai che si oppongono a che pompe di benzina vengano aperte nei centri commerciali o ad avvocati che si oppongono alla tariffa libera della prestazione professionale. Benzinai e avvocati che difendono il “loro” e qui si fermano. Questo fa Landini agli operai, imperdonabile anche se forse andrebbe perdonato perché letteralmente non sa quello che fa e perché il mondo in cui vive non l’aiuta, il mondo dove la sinistra è fiera di “resistere”, alla scienza, all’innovazione, alle riforme e, alla fine, anche all’interesse generale.

Poi uno “spegne” Landini e Sacconi in tv e gli arriva dagli Usa Marchionne. Va bene che parlar con Obama, va bene vedere e sottolineare che il mondo si muove e l’Italia no. Va bene inorgoglirsi per qualche successo e infastidirsi per qualche chiacchiera. Però a  Marchionne troppo spesso comincia a scappargli, troppo spesso si vede: il fastidio del manager si colora di puzza al naso, anzi di reazione schifata alquanto verso…Verso chi non capisce, chi non segue, non obbedisce, non trotta. Marchionne sta somigliando un po’ troppo al “padrone” e, quel che è peggio, la cosa non gli dispiace. Il problema non è che guadagna mille passa volte lo stipendio medio dei suoi dipendenti, anche se questo un problema è. Il problema è che il canadese Marchionne sta diventando anche lui troppo italiano nel disprezzo che non nutre ma gli scappa da tutti i pori, il disprezzo per l’operaio.