Milano: il “popolo Iva declassato” ha votato a sinistra: più 17% per Pisapia

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 20 Maggio 2011 - 14:50 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Che il voto di Milano della scorsa settimana fosse figlio di un cambiamento sostanziale nell’elettorato è un dato di fatto. Ma i dati forniti dallo staff di Pisapia, candidato per ora vincente del centrosinistra, e in parte confermati da Anna Soru, presidente di Acta, associazione dei consulenti del terziario avanzato, e da un’indagine commissionata dalla Camera di Commercio milanese, hanno del clamoroso. Secondo i dati sul profilo dei votanti, ricavati da migliaia di interviste con gli elettori, su 100 lavoratori autonomi ambrosiani presentatisi ai seggi addirittura 52 avrebbero votato per lo sfidante, e solo 35 per il sindaco uscente. Tra i professionisti, gli artigiani e le partite Iva si sarebbe aperta, dunque, una voragine sinistra-destra pari a 17 punti. Di conseguenza domenica e lunedì si sarebbe consumato a Milano, capitale del pur malandato terziario italiano, un ribaltone socio-politico. Tradizionalmente, infatti, i lavoratori autonomi nelle urne avevano sempre e abbondantemente privilegiato le destre, e quelli dipendenti si erano rivolti, invece, prevalentemente a sinistra. Ora invece entrambi i raggruppamenti sociali avrebbero votato più Pisapia che Moratti e grosso modo nelle stesse proporzioni. Una vera  e propria rivoluzione sociale.

I dati sono forniti da uno dei candidati in corsa per la poltrona di palazzo Marino, e vanno perciò presi con beneficio d’inventario, ma ci sono altri indizi che testimoniano il malessere dei professionisti che potrebbe effettivamente aver fatto trasmigrare a sinistra dei voti tradizionalmente di destra. Il primo di questi indizi risponde al nome di Sergio Cau, pubblicitario milanese che aveva intuito che i lavoratori autonomi potessero essere stavolta l’ago della bilancia nella corsa elettorale, e che aveva avuto l’idea di fondare in città il Partito Iva e di presentarsi alle elezioni comunali. Idea poi sfumata per le troppe complicazioni e per le difficoltà che un non professionista della politica aveva dovuto affrontare. Cau aveva così deciso di ripiegare su una candidatura nelle liste pro Moratti. Aveva capito Cau che andava intercettato il voto dei professionisti ma riteneva, forse a torto, che questo voto sarebbe prima o poi finito a destra.

Il secondo indizio che i dati snocciolati da Pisapia sul voto dei professionisti possono essere corretti arriva dalle parole di Anna Soru, presidente di Acta, associazione dei consulenti del terziario avanzato. La Soru non conferma il dato numerico, anzi, ma testimonia un malessere e un malcontento diffuso che potrebbero aver generato quella migrazione di voti che i dati del candidato del centrosinistra invece raccontano. «Francamente non credo che in passato i professionisti votassero davvero tutti a destra – ha detto la Soru- la distribuzione dei consensi era ed è più equilibrata e se si sono verificati dei veri smottamenti la spiegazione non può che essere rintracciata nei contraccolpi della Grande Crisi. Dobbiamo sapere che non stiamo parlando più della condizione degli avvocati e degli architetti di vent’anni fa. Quei redditi che percepivano e quelle garanzie di cui godevano loro oggi non esistono. Il mondo è cambiato».

A ulteriore conferma di quello che somiglia ad un cambiamento storico nella composizione dell’elettorato arriva poi il terzo indizio: un’indagine commissionata dalla Camera di Commercio e condotta dal sociologo Aldo Bonomi. L’indagine in questione racconta un mondo delle professioni squassato dalla recente crisi. Solo il 20% è passato indenne sotto la recessione, il 42% ha visto ridursi il proprio fatturato negli ultimi due anni, più del 30% ha perso clienti e il 26% alla fine ha dovuto ridurre il personale. Complessivamente, secondo la ricerca in questione, un terzo dei professionisti milanesi ha visto peggiorare il tenore di vita suo e della famiglia e ciò ha prodotto «una diffusa sensazione di declassamento». E di precarietà. Una parola che sicuramente è risuonata molto di più nella propaganda di Pisapia che in quella della Moratti. I professionisti milanesi che avevano fatto del rischio e della meritocrazia una bandiera ora si sono improvvisamente riscoperti orfani del welfare. Il 68% degli interpellati da Bonomi si dichiara infatti «svantaggiato» sul piano della copertura pensionistica e 1’83% protesta per l’assenza di ammortizzatori sociali in caso di perdita del lavoro o fallimento del mercato. Dalle preoccupazioni per uno Stato sociale zoppo potrebbe essere nata dunque una sorta di «svolta laburista», di pressante richiesta di tutele da parte delle partite Iva che si sentono ingannate.

Un indizio non conta, due possono essere una coincidenza, ma tre somigliano ad una prova. La rivoluzione dell’elettorato milanese, con il popolo dei professionisti e della partite Iva al fianco di Pisapia, sembra quindi essere realtà. Non tanto e non solo però per l’abilità del candidato del centrosinistra che ha sì saputo cogliere il malcontento di questa fetta di elettorato, tema su cui invece la Moratti è rimasta sorda, ma anche grazie a quel senso di declassamento, a quella percezione di essere retrocessi, di aver preso l’ascensore sociale in discesa e non in salita diffusa oggi nel mondo delle professioni. Chi ha seguito la campagna del centrosinistra ci ha trovato, per l’appunto, molta attenzione per la condizione dei precari, quasi che partita Iva fosse un sinonimo. Un merito, secondo Anna Soru, Pisapia lo ha avuto proprio su questo fronte. «Si è posto in una condizione di ascolto e la novità, se non altro, è stata apprezzata».