Sanità nazionale, pensioni e comfort: il modello sociale europeo soffre

Pubblicato il 24 Maggio 2010 - 16:50 OLTRE 6 MESI FA

Deficit e crisi minacciano l’orgoglio del vecchio continente, il suo modello sociale. Le superpotenze e il loro stile di vita garantista, spesso definito criticamente quello degli Stati balia, e costruito dai governi di sinistra dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale,  ora vacilla sotto, scossa dai colpi di tosse dell’economia sofferente e della crisi greca.

Se finora il welfare made in Europe era stato motivo di vanto, adesso i pensionamenti anticipati, i sistemi sanitari nazionali e le ferie generose, compresi i vantaggi sociali, stanno diventando una zavorra per le casse degli Stati.

Come scrive Steven Erlanger dalle colonne del New york Times, gli europei hanno beneficiato di una bassa spesa militare, sotto l’ombrello nucleare americano e la protezione della Nato.

Trasformando le tasse in un welfare che segue il cittadino dalla culla alla nascita, l’Europa ha ignorato i problemi di un sistema sociale così articolato, sotto l’egida dello slogan “l’Europa che protegge”.

Eppure ora le entrate fiscali sono in calo, i conti in rosso e non si prospettano di certo momenti facili: forse il vecchio continente non può più permettersi il suo stile di vita confortevole, nota Erlanger, almeno non senza un periodo di austerità e di cambiamenti significativi.

La strategia dei governi attualmente si muove su due piani: da un lato rassicurare gli investitori, dall’altro tranquillizzare i cittadini. Il presidente della commissione europea José Manuel Barroso ha dichiarato: «La crisi ha spazzato via 10 anni di crescita e non è ancora passata». poi ha avvertito che tagliare le spese non significa automaticamente garantire l’austerità, perché la sfida è quella di rendere «compatibile il bilancio economico con la spesa sociale, naturalmente, non a danno di giovani, pensionati e disoccupati».

Dunque, quella che il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt ha definito «una modalità di ripristino» non è altro che un piano preciso che prevede: sforbiciata ai salari, innalzamento dell’età pensionabile, aumento delle ore di lavoro e riduzione dei benefici per la salute e le pensioni.

Come lo stesso Bildt ammette, serve un cambiamento strutturale. Le reazioni prevedibili sono di rabbia e opposizione, ma secondo l’analisi del New York Times è inevitabile perché la regione con un modello simile «manca di competitività sui mercati mondiali».

Secondo la Commissione europea, entro il 2050 la percentuale degli europei di età superiore ai 65 anni sarà quasi il doppio. Nel 1950 c’erano solo sette lavoratori per ogni pensionato, almeno nei Paesi con economie avanzate. Nel 2050, il rapporto dell’Unione europea scenderà da 1,3 a 1.

La spesa pubblica sociale nei Paesi Ue è aumentata dal 16 per cento del prodotto interno lordo del 1980 al 21 per cento nel 2005, rispetto al 15,9 per cento negli Stati Uniti. In Francia, la cifra è del 31 per cento, il più alto in Europa, con pensioni statali che costituiscono più del 44 per cento del totale e l’assistenza sanitaria, il 30 per cento.

La sfida è particolarmente scoraggiante in Francia, che ha fatto di meno per ridurre le obbligazioni statali. In Svezia e in Svizzera, 7 di 10 persone lavorano dopo i 50 anni. In Francia, solo la metà lo fa. L’età di pensionamento legale in Francia è 60 anni, mentre la Germania di recente ha aumentato a 67 anni l’età pensionali, almeno per i nati dopo il 1963.

La falla nel sistema dunque c’è e a tirare le maglie sono proprio le pensioni proprio per un rapporto squilibrato tra chi lavora e chi invece ha abbandonato il posto.