Occupazione giovanile: si fa presto a dire meno tasse

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 10 Maggio 2011 - 20:41 OLTRE 6 MESI FA

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sono intervenuti sul Corriere della Sera a proposito della drammatica questione della disoccupazione giovanile in Italia. Interessanti i loro confronti internazionali e fra le diverse aree del bel paese. Del tutto condivisibile la loro opzione per il contratto di lavoro unico (in un contesto di flexsecurity), teso al superamento del dualismo fra lavoro a tempo determinato e indeterminato. Meno convincente l’altra proposta dei due economisti, quella cioè di procedere ad abbattimenti degli oneri fiscali sui redditi da lavoro dei più giovani, in modo da incentivarne le assunzioni. Va innanzitutto esclusa la possibilità di tagliare gli oneri parafiscali-previdenziali, considerato che già la prospettiva dei futuri assegni di quiescenza di chi è da poco entrato o sta entrando al lavoro appare preoccupante sul lungo termine: in un sistema contributivo, quanto più tardi si cominceranno a versare i contributi tanto minori saranno le pensioni. Resta quindi la riduzione dell’imposizione fiscale.

Alesina e Giavazzi sostengono fra l’altro che “ciò aumenterebbe il reddito disponibile dei giovani e li renderebbe più indipendenti…”. A questo proposito credo si dovrebbe tener conto che esiste un articolo della Carta costituzionale (53) che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Come conciliare questo dettato della suprema Carta con la situazione che si verrebbe a creare introducendo un’imposizione differenziata per età, secondo la proposta in esame? Certamente i giuristi saranno in grado di trovare una soluzione che salvi capra e cavoli. Già che ci sono, li consiglierei di preparare una spiegazione credibile anche a proposito della possibile contraddizione tra il meccanismo consigliato dalla premiata ditta A. & G. e l’articolo 36 della Carta: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro…”. Come giustificare salari diversi per lavori identici in quantità e qualità, basati solo su una differente età?

Ma non sono le questioni giuridiche a lasciarmi maggiormente perplesso sulla proposta dei due professori, quanto quelle più strettamente economiche. Innanzitutto il problema della copertura delle minori entrate che comporterebbe un abbattimento delle aliquote sui redditi dei più giovani. Giavazzi e Alesina non si perdono d’animo: “La perdita di gettito si dovrebbe recuperare con riduzioni di spesa (pubblica, ovviamente, ndr.). E’ evidente che, affinché questo meccanismo sia davvero incentivante le riduzioni fiscali dovrebbero essere assai consistenti. Altrettanto, quindi, dovrebbero esserlo i tagli di spese. Ma con la nostra situazione di bilancio pubblico, che ci impone continue manovre e manovrine solo per turare le falle, e con il pavido governo che ci ritroviamo (ammesso e non concesso che il centrosinistra sia più determinato) come possiamo sperare di trovare la forza per un’ulteriore decurtazione della spesa, tanto più se questa non è dettata dall’emergenza?

Last but not least, una questione di equità economico-sociale. Giustamente il presupposto del ragionamento dei due studiosi è la drammaticità della disoccupazione giovanile in Italia, quasi doppia che negli altri maggiori paesi europei. Ma altrettanto esplosiva è la situazione della disoccupazione femminile nel nostro paese: il tasso di occupazione delle donne (15-65 anni) è al 46,5 per cento, quello maschile, pur non essendo invidiabile all’estero, è pur sempre al 67,5. Nell’ottica alesinian-giavazziana urgerebbe quindi defiscalizzare anche le retribuzioni quantomeno delle neo-assunte del “sesso debole”. E i costi per i conti pubblici salirebbero. Che dire poi del caso, ahimé piuttosto diffuso, di giovani donne disoccupate? Le defiscalizziamo in quanto giovani o in quanto donne? Oppure diamo loro una doppia incentivazione? Altrettanto doppia (o financo tripla) dovrebbe essere l’incentivazione per le assunzioni di giovani (maschi o femmine) nel meridione, ben nota sacca di riserva dell’esercito dei disoccupati. Agli esperti l’ardua sentenza. Infine un’ultima notazione: che facciamo con quei lavoratori over-45 che perdono lavoro, di questi tempi anche abbastanza di frequente, e per i quali trovarne uno nuovo è spesso persino più difficile che per un giovane? Vogliamo lasciarli senza incentivi fiscali?