Pensioni, “esodati”. Alle Poste licenziati in cambio del figlio assunto

Pubblicato il 3 Aprile 2012 - 08:44 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Lucia, ex dipendente Poste Italiane e attualmente “esodata” in ansia per il differimento della sua pensione, confida al Sole 24 Ore che ha accettato di licenziarsi, in cambio di 10 mila euro e dell’assunzione della figlia di 32 anni con un contratto a tempo indeterminato part time. Ai lavoratori finiti nel guado dei senza assegno previdenziale e senza stipendio (sembravano 65 mila, sono 350 mila) non piace, giustamente, il termine “esodati”: la riforma Fornero li penalizza, al momento sono fuori gioco a causa di promesse disattese e obblighi non mantenuti, non perché impegnati in una traversata nel deserto.

Immaginiamo la difficoltà, la pena affrontate da Lucia per rivelare cose personali e magari sofferte, quand’anche legittimate da un accordo fra parti consenzienti: resta il fatto che la vicenda rivela più di statistiche buone per ogni lettura o slogan sufficientemente generici per accontentare tutti, sulle storture del mercato del lavoro. Su scelte non si sa quanto libere che incentivate per ottenere la cosiddetta flessibilità in uscita, pregiudicano in partenza meriti e trasparenza nei criteri di accesso al lavoro. Due porte, una si chiude per permettere a un’altra di aprirsi: una situazione paradigmatica, rappresentativa, o un caso limite?

Prima del ciclone salva-Italia, Lucia, 60 anni a luglio, prende in considerazione le offerte di Poste Italiane per accompagnarla più celermente verso la pensione. Dirigeva il centro postale di Viterbo, a 2300 euro al mese, altri 5 anni e avrebbe maturato altri scatti di carriera e un assegno più alto una volta in pensione. La proposta indecente è allettante, per definizione: in cambio dell’assunzione part-time di un figlio, o di un incentivo in denaro, “che nel mio caso sarebbe stato di circa 80.000 euro lordi”, può scegliere il ritiro anticipato.

A luglio 2011 accetta e si licenzia, accetta come altri 5000 dipendenti nella sua situazione. “Mia figlia ha 32 anni, è laureata, non trovava lavoro, ed era mortificata e depressa a causa della sua disoccupazione. Con risparmi e prestiti ho valutato che potevo affrontare i 2 anni e mezzo che mancavano alla pensione, che sarebbe arrivato nel dicembre 2014. Ho fatto un sacrificio, per mia figlia. Ma ora questa sacrifico diventa insostenibile”.

Le scelte personali sono insindacabili. Più discutibili sono le procedure di incentivo all’esodo da parte di una grande azienda pubblica come Poste Italiane. Aggiunge Lucia al suo racconto: “Ufficialmente ho firmato un accordo per l’esodo anticipato in cambio di un compenso di 10.000 euro lordi, che ho realmente ricevuto». Nel frattempo Poste ha assunto, part-time, a tempo indeterminato, la figlia di Lucia, “che ora guadagna 700 euro al mese, netti”.

Con il precipitare degli eventi e con l’insediamento del governo Monti quello scambio diventa carta straccia, per la parte che riguarda l’accompagnamento di Lucia lla pensione. Resta il fatto che Poste Italiane, in una sorta di perversa partita di giro, avrebbe voluto scaricare sullo Stato gli oneri della retribuzione di 5000 dipendenti. Anche al prezzo di assumere un candidato per meriti familiari, al minimo consentito, secondo modalità che sarà difficile spiegare ai milioni di giovani laureati e non che disperano, a ragione, di entrare mai nel mondo del lavoro. Il professor Monti fu aspramente criticato, perfino irriso per la gaffe con cui liquidò come “noioso” il posto fisso. L’aggettivo noioso fu un autogol, chiaro, lampante: ma quando Monti ragionava dell’eternità del posto fisso in relazione a nepotismo, familismo, assenza di meritocrazia chi oserà dargli torto, perlomeno dai piani alti di Poste Italiane?