Esodati, devono aspettare il 30 giugno. Tutela art. 18 fino a 70 anni

Pubblicato il 20 Marzo 2012 - 09:52 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Gli esodati, gli ex lavoratori in mezzo al guado tra fine impiego e accesso alla pensione, devono avere pazienza. La consiglia il ministro Fornero: entro giugno si sapranno con certezza i requisiti per le esenzioni dalla grande riforma. Sono troppi, secondo Fornero, le stime adottate nel decreto salva-Italia erano del tutto inadeguate, sottovalutati furono gli effetti della crisi sul fronte occupazionale. Allora si diceva 50 mila persone. Con il milleproroghe si è deciso di calcolare il numero delle esenzioni in base alle risorse disponibili, poche peraltro, 245 milioni per il 2013, a crescere fino ai 1220 milioni per il 2016. Per quanti? Una valutazione finale non c’è, in base ai calcoli dell’Inps, che però non li ha resi pubblici né confermati, parliamo di una platea di 350 mila potenziali esenti.

Il 30 giugno, per i 350 mila in attesa, sarà il giorno della verità sul proprio futuro: si saprà quanti potranno effettivamente ottenere l’esonero e con quali criteri si formeranno le graduatorie. Un finanziamento extra, un surplus di risorse da mettere a disposizione, potrebbe arrivare da un incremento delle aliquote contributive non pensionistiche di tutti i datori di lavoro. Servirebbe a colmare il gap finanziario per la tutela di tutti coloro che resteranno esclusi. Si tratta di una clausola contenuta nel decreto milleproroghe: l’ammissione delle domande rimaste inevase è subordinata a quell’aumento fiscale. Incremento in palese contraddizione con lo spirito delle modifiche da introdurre nel mercato del lavoro.

Comunque, due sono le grandi categorie di esenti dalla Riforma. I sicuri, sono coloro che hanno maturato entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di accesso al pensionamento, e le donne che abbiano optato per una pensione interamente contributiva, con 57 anni di età (58 se autonome) e 35 anni di contributi. Gli incerti, sono coloro che prima del 4 dicembre 2011 avevano stipulato già un accordo per cui avevano accettato il licenziamento al termine di una procedura di mobilità, coloro che alla stessa data già usufruivano di prestazioni dei fondi di solidarietà del settore, coloro che erano, sempre alla stessa data, stati autorizzati a proseguire una contribuzione volontaria, coloro che erano stati autorizzati a interrompere il servizio, i genitori di figli disabili che avessero maturato il requisito nel successivi 24 mesi. Infine, coloro che abbiano risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011, a seguito della stipula di accordi in sede protetta  o in ragione di accordi collettivi di incentivo all’esodo. Essendo la decorrenza di questo trattamento fissato al 6 dicembre 2013, ed essendo previsti 12 mesi di finestra mobile,  il diritto dovrà essere maturato entro il 2012.

Altra novità poco dibattuta, riguarda l’ estensione della tutela del posto di lavoro fino ai 70 anni, nelle aziende con più di 15 addetti. In questo contesto, dove ha valore l’articolo 18, si può rimanere fino al massimo previsto, appunto 70 anni. Finora, quando il lavoratore aveva raggiunto i requisiti per accedere alla pensione, il datore di lavoro aveva la possibilità di risolvere liberamente il rapporto di lavoro, utilizzando la formula del preavviso. Ora la riforma obbliga il datore a tenere il lavoratore fino al compimento dei 70 anni: se non lo fa incorre nelle conseguenze previste dall’articolo 18. In assenza di giusta causa, indennizzo e reintegro. La norma tende a favorire il lavoratore che restando di più in azienda matura un assegno di pensione più alto. Confligge, però, con l’esigenza di ricambio generazionale e non favorisce l’accesso dei giovani.

Ultimo punto riguarda le ricongiunzioni (unificare in una sola cassa previdenziale i vari contributi): sono sempre onerose, a volte molto care. Ritornare alla gratuità della ricongiunzione non si può: 1,4 mld. di euro non ci sono. L’alternativa è rendere un po’ meno penalizzante la totalizzazione (sostiene Cazzola del Pdl vicepresidente Commissione Lavoro Camera). La ricongiunzione è onerosa perché prevede il sistema retributivo, la totalizzazione non perché con il contributivo l’assegno finale è più modesto. Cazzola punta a “ridurre i vincoli e i disincentivi che la contrassegnano nel calcolo dell’assegno”.