Pensioni. Il “minimo di garanzia” proposto dal Pd: da 650 a 1000 euro con 20 anni di contributi

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Luglio 2017 - 09:12 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni. Il "minimo di garanzia" proposto dal Pd: da 650 a 1000 euro con 20 anni di contributi

Pensioni. Il “minimo di garanzia” proposto dal Pd: da 650 a 1000 euro con 20 anni di contributi

ROMA – Pensioni. Il “minimo di garanzia” proposto dal Pd: da 650 a 1000 euro con 20 anni di contributi. Una pensione di garanzia da 650 euro mensili per i giovani e scivoli all’uscita non generalizzati, per tutti i lavoratori, ma per le fasce deboli, come le donne e chi svolge lavori faticosi. Queste sono “le bussole” che seguirà il Pd per mettere a punto una sua proposta di riforma, dando una spinta al dibattito, finora ancora non decollato, sulla cosiddetta ‘fase due’.

A mettere al centro le questioni, nuove generazioni e flessibilità sull’età, è il responsabile dem per il lavoro e l’economia, Tommaso Nannicini. Insomma un mix di misure, da inserire nella prossima legge di Bilancio, per una revisione, seppure parziale, delle passate operazioni, in primis quella targata Fornero. Ne parla davanti ai leader sindacali e dopo che il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, focalizza l’attenzione su donne e giovani. Il “sentiero” per gli interventi, ammette Nannicini, è “stretto” ma le novità non mancheranno. E a lanciare un’ipotesi già robusta per dare un paracadute ai nati negli anni Ottanta, pienamente nel contributivo, è il consigliere di Palazzo Chigi, Stefano Patriarca, che suggerisce di introdurre anche nel sistema contributivo “un minimo previdenziale, come nel retributivo, pari, si può immaginare, a 650 euro mensili per chi ha 20 anni di contributi, che possono aumentare di 30 euro al mese per ogni anno in più fino a un massimo di mille euro”.

La pensione di garanzia scatterebbe per chi ha raggiunto i requisiti di età, ma si dovrebbe intervenire anche sugli anticipi, dice Patriarca, sganciando il legame con l’importo che oggi limita le uscite. E ancora, continua il consigliere di palazzo Chigi, bisognerebbe immaginare “un sistema di redditi ponte” attraverso l’Ape sociale, quella volontaria e la previdenza integrativa.

Sarebbe questo l’unico modo “gestire l’innalzamento dell’età”, che vista la crescita dell’aspettativa di vita sembra “ineluttabile”. Certo bisogna mettere mano al portafoglio, Patriarca pensa a “un fondo di solidarietà per il sostegno alle basse contribuzioni”.

E Nannicini anticipa le critiche: le tutele per i giovani andrebbero finanziate dalla fiscalità generale ma a chi dice che sarebbe “una fregatura” risponde che il contrario sarebbe “un furto intergenerazionale”. Per il responsabile economico del Pd, bisognerebbe rendere poi “strutturale l’Ape social”, dopo un dovuto tagliando sul primo anno.

E invita anche ad accelerare su l’Ape volontaria, per stringere entro settembre. Quando al delicatissimo adeguamento automatico all’aspettativa di vita, Nannicini invita a evitare discorsi superficiali e apre ad aggiustamenti del tasso di sostituzione per chi è nel contributivo puro (per evitare assegni troppo bassi).

Per gli altri invece l’intervento sarebbe calibrato sulle tipologie di lavoro, con agevolazioni per le attività gravose. Più che di uno stop a 67 anni all’età pensionabile “noi pensiamo che si debba parlare di un’altra questione che è l’equità generazionale in questo paese”, dice il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, mentre per la leader della Cgil, Susanna Camusso, l’adeguamento automatico resta “un’iniquità”.

Il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, invita a rivedere il peso delle pensioni sul Pil e la numero uno della Cgil, Annamaria Furlan, insite per “abbassare i contribuiti per le donne”. Un tema quello delle disparità di genere sui cui apre anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. L’altro tema, aggiunge il ministro, al centro sono i giovani con carriere discontinue”, occorre trovare uno strumento, sottolinea che possiamo chiamate “pensione di garanzia o come vogliamo”.