Le pensioni non si possono tagliare, blocco di Cassazione e Corte Costituzionale

di redazione Blitz
Pubblicato il 12 Agosto 2017 - 05:55| Aggiornato il 6 Novembre 2020 OLTRE 6 MESI FA
Le pensioni non si possono tagliare, blocco di Cassazione e Corte Costituzionale

Le pensioni non si possono tagliare, blocco di Cassazione e Corte Costituzionale

ROMA – Pensioni e contributo di solidarietà. La Corte di Cassazione ribadisce che le casse professionali, come quella dei Ragionieri o quella dei Giornalisti (Inpgi) non possono imporre il prelievo perché si tratta di una prestazione patrimoniale che può essere decisa solo dal Parlamento, per legge, come stabilisce l’art. 23 della Costituzione.

“La natura di prestazione patrimoniale è stata ribadita di recente a chiare lettere dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 173/2016, punto 10, del seguente tenore: “Si è dunque, nella specie, in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)”. Il legislatore, comunque, può utilizzare il prelievo soltanto “COME MISURA UNA TANTUM””.

Lo ha già fatto e non lo può più rifare.

Anna Campilli, avvocato previdenzialista (campilii.anna@virgilio.it), spiega:

Nel 2004 Casse di previdenza dei Dottori commercialisti e dei Ragionieri hanno imposto sulla quota reddituale delle pensioni un taglio denominato contributo di solidarietà di durata quinquennale, prorogabile per altre tre volte, e finora hanno perso tutte le cause giunte al vaglio della Corte di cassazione, tanto che ultimamente la decisione viene presa in camera di consiglio senza discussione, per inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis n. 1 Cpc (cioè in quanto il provvedimento impugnato è conforme alla giurisprudenza della Corte).
Il primo taglio è stato dichiarato illegittimo con le sei sentenze gemelle del 2009 numeri 25029, 25211, 25301, 25300, 25030, 25212, affermando la seguente massima:
“In materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati (nella specie, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti) non possono adottare – in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione – atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere tali atti incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” – che è stabilito in relazione “alle anzianità già maturate”, le quali concorrono a determinare il trattamento medesimo – e lesivi dell’affidamento dell’assicurato a conseguire una pensione di consistenza proporzionale alla quantità dei contributi versati”. […]

La sentenza Cass. 22240/04 ha bocciato il taglio costituito dal massimale pensionistico (cd. “tetto”) in quanto non rientra tra i provvedimenti consentiti alle Casse e, per analogia, nel 2009 è stato ritenuto illegittimo anche il taglio costituito dai contributo di solidarietà.
Poi la legge 296/06, comma 763, ha ampliato i poteri normativi delle Casse professionali, sopprimendo la tipologia dei provvedimenti consentiti ed autorizzando le Casse ad adottare tutti i provvedimenti ritenuti necessari alla stabilità di lungo termine.
Incidentalmente si nota che il comma 763 esclude dal suo ambito di applicazione le “forme di previdenza sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria”, qual è l’INPGI, per il quale vige ancora il comma 12° originario, con la sua tassativa elencazione dei provvedimenti consentiti alla autonomia normativa delle Casse professionali, nella quale non rientrano i tagli alle prestazioni già liquidate.
La Cassa dei Dottori commercialisti ha colto l’occasione dell’ampliamento dei poteri normativi, disposto dal comma 763 in esame, per reintrodurre il contributo di solidarietà nel secondo quinquennio. Ma anche questo è stato bocciato dalla suprema Corte. […]

Già da tempo un’ autorevole giurisprudenza costituzionale ha qualificato il prelievo in esame come una “prestazione patrimoniale” soggetta a riserva di legge.

Difatti, la Corte costituzionale, con ordinanza 22/03, ha testualmente statuito: “alla luce della giurisprudenza della Corte, il contributo di solidarietà, non potendo essere configurato come un contributo previdenziale in senso tecnico (sentenza n. 421 del 1995), va inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per LEGGE, di cui all’art. 23 della Costituzione, costituendo una prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori (sentenza n. 178 del 2000)”.
Anche con la sentenza n. 190 del 2007 (in G.U. 024 del 20/06/2007) la Corte costituzionale ha ribadito. […]

La Corte di cassazione, pur senza avere apertamente disapplicato per violazione dell’art. 23 Cost. la normativa interna delle Casse in tema di contributo di solidarietà relativo al quinquennio 2009-2014, ha tuttavia affermato: “il diritto soggettivo alla pensione (che per il lavoratore subordinato o autonomo matura quando si verifichino tutti i requisiti) può essere limitato, quanto alla proporzione fra contributi versati ed ammontare delle prestazioni, dalla legge”, con la quale indubbiamente si allude alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost, che nel caso di specie manca, in quanto il comma 12° (sia originario, che nella versione modificata dalla legge 296/06, comma 763) non autorizza il prelievo in esame in modo esplicito e con il dovuto dettaglio.
La natura di prestazione patrimoniale è stata ribadita di recente a chiare lettere dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 173/2016,punto 10. […]
Se è pur vero che nel nostro sistema previdenziale non vige il principio della intangibilità del trattamento pensionistico, essendo il legislatore autorizzato ad emanare disposizioni limitative o modificative della disciplina pensionistica in senso sfavorevole all’assicurato, è altrettanto indubbio che dette disposizioni debbano essere contenute entro il limite costituzionale della ragionevolezza, ovvero non devono limitare l’affidamento posto dall’assicurato in una determinata consistenza della pensione.
Sulla base di questo principio, la Corte di Cassazione, chiamata proprio a pronunciarsi sulla legittimità del primo e del secondo contributo dei Dottori commercialisti, ha affermato che “il limite costituzionale imposto al legislatore induce a maggior ragione a ritenere contrario al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost., comma 2) l’atto infralegislativo, amministrativo o negoziale, con cui l’ente previdenziale debitore riduca unilateralmente l’ammontare della prestazione mentre il rapporto pensionistico si svolge, ossia non si limiti a disporre per il futuro con riguardo a pensioni non ancora maturate”.
Quindi “una volta maturato il diritto alla pensione d’anzianità, l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’art. 3 Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo” (Cass. n. 26102/2014; n. 11792/2005; n. 25029/2009; n. 25212/2009; n. 20235/2010; n. 8847/2011; n. 13067/2012; n. 1314/2014).

Maria Carla De Cesari, sul Sole 24 Ore (quotidiano fisco), commenta:

La Corte di cassazione, ordinanza 19711/17 , conferma il suo orientamento valido per tutte le Casse provatizzate. La Cassazione, che richiama la sentenza 12338 del 2016, si pronuncia sul contributo si solidarietà approvato dalla Cassa dei dottori commercialisti con la delibera 4/08, per il periodo 2009-2013. «Una volta maturata la pensione di anzianità – spiega ancora una volta la Corte – l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché lederebbe l’affidamento del pensionato», tutelato dall’articolo 3 della Costituzione.

Neppure la legge 296/06 (articolo 1, comma 763) sana la deliberazione della Cassa sul contributo di solidarietà. La norma che, secondo le Casse, dovrebbe dare il nullaosta per le delibere degi Enti, ha un valore circoscritto: si limita infatti a garantire efficacia a i provvedimenti degli enti previdenziali se questi ultimi sono stati assunti nel rispetto della legge. Il che è da escludere, visto che la legge 335 riconosce alle Casse un potere regolamentare ben definito (variazione delle aliquote contributive, coefficienti di rendimento); inoltre richiede che le misure siano finalizzate ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine, cosa da escludere per il contributo di solidarietà per il suo carattere temporaneo.Sulla questione del contributo di solidarietà si è espressa la Corte costituzionale n. 173/16*, che lo ritiene una prestazione patrimoniale soggetta a riserva di legge: secondo Anna Campilii, che ha patrocinato il pensionato di Cassa dottori in Cassazione, il contributo di solidarietà non è istituibile con un atto regolamentare delle Casse.

Ecco il testo della ordinanza Num. 19711 Anno 2017 della Cassazione Civile Ord. Sez. 6 (Presidente: CURZIO PIETRO, Relatore: FERNANDES GIULIO, Data pubblicazione: 08/08/2017).
Per il testo completo clicca qui.                    

CONSIDERATO
che il presente ricorso è di contenuto analogo ad altro già deciso da questa Corte con sentenza n. 12338 del 15 giugno 2016 di rigetto e sulla scorta di principi di diritto cui si ritiene di dare
continuità non essendo stati prospettati argomenti diversi e di gravità tale da esonerare il Collegio dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della
funzione, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge;

che in questa sede, va richiamata, quindi, la motivazione della menzionata pronuncia n. 12338/2016 che, come la presente causa, concerne il contributo di solidarietà relativo al periodo 2009 -2013;

che in detto precedente i primi cinque motivi del ricorso sono stati ritenuti infondati sulla scorta del rilievo che il principio già affermato secondo cui <<una volta maturato il diritto alla pensione d’anzianità, l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’art. 3 Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo” (cfr., fra le molte, Cass. n. 11792/2005; n. 25029/2009; n. 25212/2009; n. 20235/2010; n. 8847/2011; n. 13067/2012; n. 13141/2014) al quale si era sostanzialmente attenuta la Corte di Appello non risultava intaccato dallo ius superveniens, di cui all’art. 1, comma 763, L. 27 dicembre 2006 n. 296, siccome modificativo e non interpretativo della normativa precedente e, in quanto tale, non invocabile in relazione a provvedimenti che, come quello per cui è causa, hanno inciso su pensioni già in essere al momento della loro emanazione; con la conseguenza che la previsione ivi contenuta non sta ad indicare che tali atti, sol perché già adottati, siano legittimi, ma si limita a garantirne la perdurante efficacia anche alla luce delle modificazioni intervenute, sempre che gli stessi siano stati assunti nei rispetto della legge; il che, quanto al caso di specie, deve essere escluso, poiché l’art. 3, comma 12, L. 8 agosto 1995 n. 335 permette agli enti previdenziali privatizzati – attraverso la variazione delle aliquote contributive, la riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico – di variare gli elementi costitutivi del rapporto obbligatorio che li lega agli assicurati, ma non consente agli stessi di sottrarsi in parte all’adempimento, riducendo l’ammontare delle prestazioni attraverso l’imposizione di contributi di solidarietà;

che, pertanto la ” salvezza” degli atti e delle deliberazioni già adottati, disposta dall’art. 1, comma 763, L. n. 296/2006 riguarda il primo genere di provvedimenti, specificamente ed eventualmente diffonni da quelli previsti dall’art. 3 L n. 335 del 1995, ma non sana gli atti di riduzione delle prestazioni;

che il quadro normativo come ricostruito, ostativo all’imposizione di un contributo forzoso di solidarietà sulle pensioni, non si pone in contrasto, contrariamente a quanto eccepito dalla Cassa, con l’art. 38, comma 2, Cost. perché gli enti previdenziali privatizzati possono mettere in atto, come già detto, le più opportune iniziative per assicurare nel tempo la tutela previdenziale/pensionistica degli iscritti,
con la salvaguardia però dell’integrità delle pensioni già maturate e liquidate;

che, con riguardo al sesto motivo del ricorso all’esame, con il quale si deduce , in subordine, la violazione dell’art. 1, comma 763, ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria 2007) e dell’art. 1, comma 488 della L. 27 dicembre 2013 n. 147 , lo stesso è infondato essendo stato chiarito come il detto l’art. 1, comma 488, L. n. 147/2013 – che pone come condizione di legittimità degli atti e delle deliberazioni, adottati dagli enti di cui all’art. 1, comma 763, I. n. 296/2006, che essi siano “finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo temine” – non ha rilievo nel presente caso in
quanto il contributo in esame è privo di tale carattere proprio perché “straordinario” e limitato nel tempo ( Cass. n. 12338/2016 cit.);

che, pertanto , il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n.1, cod. proc. civ.