Pensioni passate, già tagliate: dal ’95 ci hanno rimesso quelle sopra 2.000 euro

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Giugno 2013 - 13:18 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni passate, già tagliate: dal '95 ci hanno rimesso quelle sopra 2.000 euro

Pensioni passate, già tagliate: dal ’95 ci hanno rimesso quelle sopra 2.000 euro (Corriere della Sera)

ROMA – Se il sistema delle pensioni è “sostenibile” dall’Inps, quindi dalle casse dello Stato, molto lo si deve ai sacrifici che i pensionati passati e soprattutto futuri hanno dovuto sopportare in venti anni di riforme che sono andate in un’unica direzione: tagli alle pensioni e aumento dell’età pensionabile. È il quadro che viene fuori dalla relazione di Antonietta Mundo, responsabile del servizio statistico attuariale dell’Inps. Leggi anche: Pensioni future: 20-30% in meno dell’ultimo stipendio e si lavorerà più a lungo

Una parabola discendente iniziata nel 1992, come sintetizza Enrico Marro sul Corriere della Sera:

“Fino al 1992 l’età minima per andare in pensione di vecchiaia era di 55 anni per le donne e di 60 anni per gli uomini mentre per ottenere la pensione di anzianità bastavano 35 anni di contributi senza limiti di età, e questo per non parlare delle baby pensioni nel pubblico impiego accordate con appena 19 anni e mezzo di versamenti agli uomini e con 14 anni e mezzo alle donne”.

Venti anni dopo la situazione è completamente diversa:

“Oggi per andare in pensione di vecchiaia servono invece come minimo 66 anni e 3 mesi per gli uomini del settore privato (e per le donne del pubblico impiego) e 62 anni e 3 mesi per le donne del privato, che raggiungeranno i maschi nel 2018, quando tutti dovranno avere almeno 66 anni e 7 mesi. Per lasciare il lavoro con la pensione anticipata, invece, non bastano più 35 anni di contributi, ma ne servono almeno 42 anni e 5 mesi per gli uomini e 41 anni e 5 mesi per le donne”.

Alla fine di una lunga stagione di riforme è stato ridotto il numero delle pensioni e gli anni di pensioni versati, aumentando i requisiti minimi di età e di anni di contribuzione necessari a ottenere la pensione. Allo stesso tempo è stato tagliato l’assegno mensile, che è in percentuale sempre minore rispetto all’ultimo stipendio, e il rendimento del totale dei contributi versati, che vengono rivalutati sempre di meno all’aumentare dell’età media.

I risparmi (per l’Inps, per lo Stato) del passaggio al sistema contributivo (basato cioè sul totale dei contributi versati e non sulla media degli ultimi stipendi ricevuti) sono ancora di là da venire, se è vero che ancora nel 2025 il 65,8% dei pensionati sarà col sistema retributivo mentre solo il 4% col contributivo.

Ma ci sono delle pensioni che sono già calate, dal 1995 ad oggi: sono quelle più “ricche”, sulle quali governo e parlamento sono intervenuti più volte per limitare o bloccarne l’adeguamento all’inflazione. Il che è equivalso a ridurle. L’Inps ha preso in esame 155 mila pensioni: negli ultimi 18 anni – tenuto conto che la pensione minima è di 495 euro – gli assegni fino a tre volte il minimo, ovvero fino a 1.486 euro al mese, non hanno perso il loro valore. Mentre le pensioni intorno ai 2.800 euro (circa sei volte il minimo) hanno perso il 10%. E gli assegni superiori a 3.963 euro (8 volte il minimo) hanno perso il 15% del loro valore.