Pensioni, ricongiungimento all’Inps oneroso: beffa ai cittadini da 2,5 mld €

Pubblicato il 10 Novembre 2012 - 14:07 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni, ricongiunzione all’Inps costa cara: beffa ai cittadini da 2,5 mld €

ROMA – Coloro che scelgono di ricongiungere la propria pensione all’Inps pagano caro il cambio. Un beffa, scrive Repubblica, che è una vera a propria stangata e che ha scatenato la furia dei cittadini. Ma annullare gli effetti della legge 122 del governo Berlusconi-Tremonti costerebbe allo Stato 2,5 miliardi di euro nei prossimi 10 anni, secondo i calcoli della Ragioneria basati sui dati Inps, motivo per cui un’inversione di marcia ora non è possibile.

Tutto iniziò, scrive Repubblica, nel luglio del 2010 quando i “ricongiungimenti” dei contributi, gratuiti dal 1958, divennero “onerosi”. I cittadini che hanno cambiato lavoro e decidono di passare da istituti, quale l’Inpdap, all‘Inps si trovano a dover pagare anche fino a 600mila euro per il cambio.

Repubblica fa il punto della situazione dal 2010 ad oggi:

“Nell’estate di due anni fa, una “manina” inserì in extremis l’articolo 12 al decreto 78, la manovra estiva di Tremonti, poi diventata legge 122. La Ragioneria certificò: nessun onere. E la norma passò.

Lì si diceva che i ricongiungimenti verso l’Inps, fino ad allora senza oneri, avrebbero avuto un prezzo. Ovvero quello del riscatto della laurea, calcolato in base alla riserva matematica. Così, in modo retroattivo, dal primo luglio (la legge era del 30 luglio) a tutti coloro che hanno fatto domanda di pensione e che nella vita hanno cambiato lavoro una volta o più (e dunque pure ente di previdenza) è arrivata la lettera dell’Inps con i calcoli.

Se vuoi far confluire i contributi versati, devi pagare. Come se avessi studiato per dieci, venti, trent’anni. Sì, ma quanto? Moltissimo, da 70 mila a 200, anche 300 mila euro. In un caso di una nostra lettrice, persino 600 mila euro. Da versare in un’unica soluzione o in “comode” rate, spalmate su 10-15 anni. Rate che a volte valgono quanto la pensione”.

O si pagano le ingenti somme per il ricongiungimento, o la pensione verrà penalizzata fino al 50%, scrive Repubblica:

“In alternativa, la “totalizzazione” dei contributi, gratuita, ma che impone il contributivo anche a chi ha le carte in regole per il retributivo, con una penalizzazione del 40-50% sull’assegno mensile, come dimostrano tanti esempi di cittadini furibondi. O ti indebiti per pagare o ti accontenti di una pensione misera. Questo il bivio”.

Nel 2010 l’allora ministro del Lavoro Maurizio Sacconi spiegò che la norma serviva a coloro che passavano da dipendente pubblico a privato per evitare l’uscita a 65 anni e che si godesse di una finestra più favorevole raggiunti i 60 anni di età:

“La norma vale per tutti quelli che hanno versato con Inpdap o con altri enti e vogliono “ricongiungere” con Inps. Ai quali è stato sempre detto – e ribadito dal sito Inps persino dopo il luglio 2010 – che il ricongiungimento era automatico, si faceva all’atto del pensionamento, non occorreva muoversi in anticipo, né preoccuparsi. E invece no.

La gratuità, tra l’altro, aveva un motivo. Chi passava all’Inps, di solito, aveva un trattamento “peggiorativo” (una pensione un po’ più bassa), per la differenza nella percentuale di contributi. Ecco perché non si è mai pagato. Al contrario di quanto accadeva per un privato che passava al più “favorevole” sistema pubblico. Pagava e paga. Il ministro Fornero, nel mese di febbraio, ha giustificato la norma che risponde a “criteri di equità” ed evita di produrre “ingiuste differenze”.

Se tornare indietro non è possibile perché troppo costoso, gli effetti della norma fanno infuriare quei 400 mila lavoratori che non sono studenti ed hanno già pagato i propri contributi, ma che si vedranno costretti a pagare ancora per avere la pensione che già gli spetta.