I quattro dipendenti del colosso minerario anglo-australiano Rio Tinto in questi giorni sotto processo a Shanghai – fra cui il responsabile del gruppo minerario in Cina, l’australiano Stern Hu – hanno ammesso di aver incassato tangenti. Lo hanno riferito gli avvocati di Hu e dei suoi tre colleghi cinesi, accusati dai pubblici ministeri del Tribunale di Shanghai, oltre che di essersi lasciati corrompere, anche di aver violato segreti industriali. Il primo ministro australiano, Kevin Rudd, parlando del processo ha ribadito che “il mondo farà molta attenzione a questo processo che per gli imprenditori stranieri in Cina sarà un test riguardo alla trasparenza della giustizia”.
I quattro dipendenti di Rio sono stati arrestati l’estate scorsa nel pieno dei negoziati sui prezzi dei minerali ferrosi per il 2009 e sono stati accusati dai media cinesi di aver cercato di entrare in possesso di informazioni su miniere e acciaierie cinesi, informazioni commerciali che molte società considerano legittime. Il caso ha puntato i riflettori sul mercato cinese, spesso poco trasparente, nel quale i confini della legalità possono essere vaghi, creando trappole per le aziende che cercano di fare affari con la terza economia mondiale.
L’ammissione di colpa fatta senza indugi dagli imputati è importante perché significa che le accuse a carico del management shangainese di Rio Tinto non erano delle fantasie di Pechino per vendicarsi del fallimento dell’operazione Chinalco-Rio Tinto. Hu e i suoi tre collaboratori, infatti, furono arrestati giusto qualche settimana dopo che il gruppo anglo-australiano aveva detto no all’ingresso della società mineraria cinese nel suo azionariato, preferendo il concorrente di sempre, Bhp Billiton. Il gran rifiuto di Canberra a Pechino aveva aperto una crisi diplomatica tra i due paesi.
L’amministratore delegato di Rio Tinto, Tom Albanese, presente a Pechino per un convegno economico, ha detto di “aspettare rispettosamente l’esito del processo”, sottolineando però che questo processo desta grande preoccupazione al gruppo, come a tutte le altre aziende che operano in Cina. Albanese ha detto che rimane “l’impegno a rafforzare le nostre relazioni con la Cina, non solo perché è il nostro più grande cliente, ma perché pensiamo che gli affari a lungo termine siano un vantaggio per entrambi”.
Tom Connor, console generale d’Australia a Shanghai, ha spiegato ai giornalisti che Hu è accusato di aver preso tangenti per un valore complessivo di un milione di yuan (146.500 dollari) e 790.000 dollari. “Hu ha fatto delle ammissioni su alcune di queste cifre, ha ammesso la veridicità di alcune di queste tangenti”, ha detto Connor. I legali dei tre imputati cinesi hanno spiegato che anche i loro assistiti hanno ammesso di aver incassato tangenti, respingendo però alcune delle accuse dei pubblici ministeri.
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