Roma: 1.086.000 lavorano, 1.179.000 non lavorano. Ma come fa?

di Riccardo Galli
Pubblicato il 2 Dicembre 2019 - 10:56 OLTRE 6 MESI FA
Roma: 1.086.000 persone lavorano, 1.179.000 non lavorano. Ma come fa?

Roma: 1.086.000 lavorano, 1.179.000 non lavorano. Ma come fa? (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Roma: 1.086.000 lavorano, 1.179.000 invece non lavorano. Ma attenzione: questo non è il bilancio, la fotografia della disoccupazione, questo è il grafico della rendita. La gran parte del milione e quasi duecentomila residenti a Roma che non lavorano non vive in stato di indigenza, vive invece della rendita derivante dalla gestione del patrimonio.

Infatti a Roma i consumi privato sono sì stagnanti ma non certo in caduta. Né in quantità, tanto meno in qualità. Sono consumi che la sociologia (un po’ meno corriva della politica verso la demagogia) definisce da “società signorile di massa”. Niente, proprio niente di male se ci sono consumi in aree e di tipologie diverse da quelle dei cosiddetti bisogni primari. Niente di male, anzi bene, benissimo.

La cosa però risulta un po’ sbilenca quando i consumo di questa tipologia permangono in quantità e qualità elevate o comunque stabili mentre cala invece sensibilmente la ricchezza prodotta dal lavoro. A Roma non solo il numero dei non addetti e impegnati in attività lavorative è superiore al numero di coloro che lavorano. Va anche analizzata la natura del lavoro. A Roma 114.000 colf (quelle ufficiali). Il 10 per cento degli occupati solo di colf. Aggiungi gli addetti ai vari servizi alla persona e la percentuale di coloro che a Roma sono impegnati in quelle che una volta si chiamavano attività produttive rischia di stazionare intorno al 50 per cento o giù di lì.

Possono circa 500 mila addetti alla produzione di beni materiali e merci sostenere il reddito e i consumi e la domanda e il welfare di un milione e mezzo di altri tra lavoratori dei servizi alla persona, pensionati, risparmiatori, gestori di beni immobiliari? La domanda riguarda in particolare Roma ma la si può estendere a varie zone d’Italia e d’Europa. Domanda ovviamente senza risposta. Domanda e risposta che però hanno molto a che fare con l’allargarsi nelle nostre società della forbice del reddito disponibile, con il debordare di un rancore panico, con quello che di solito succede quando si crea la convivenza esplosiva tra una sorta di sub proletariato del lavoro e una sorta di borghesia della rendita: al calore delle rispettive rabbia e paura si fondono in populismo nazionalista.