Schede carburante. Gonfiarle è frode al fisco: la Cassazione non perdona

Pubblicato il 16 Gennaio 2012 - 11:04 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Barare sulla scheda carburante, fornendo dati falsi e spese gonfiate, costituisce reato. Il fine è chiaro: dedurre a fini fiscali costi maggiorati truccando i rimborsi. Attenzione quindi, perché gli strumenti di controllo e accertamento sono presi in grande considerazione dai giudici, fino al livello più alto. Come attesta una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato il reato di dichiarazione fraudolenta con annotazione di documenti falsi nei confronti di un contribuente il cui ricorso è stato respinto. La sentenza 912 depositata il 13 gennaio 2012 della III sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito due punti importanti. Primo, è possibile giudicare sulla base di dati obiettivi e non su mere presunzioni come sostenuto dal ricorrente. Secondo, la Corte ha escluso l’applicabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, meno grave e la cui commissione è subordinata al superamento di alcune soglie di punibilità.

Sul primo punto i vari gradi di giudizio avevano accertato che nei documenti non erano riportati i chilometri percorsi (l’auto era sta venduta). I giudici, poi, hanno attestato che era falsa la percorrenza media fosse, come indicato, di 1,73 km per litro di gasolio, mentre il consumo medio dichiarato dalla casa costruttrice della vettura era di 15,6 km per litro. Inoltre, si è accertato che i tre soci della pompa di benzina non hanno mai apposto firme sulla scheda carburante: peraltro, all’ora indicata del rifornimento, l’impianto era chiuso senza che ci fosse un servizio di self service.

Il secondo punto verte su una questione giuridica. Il ricorrente contestava l’imputazione: al massimo si era in presenza (è la tesi della difesa) la dichiarazione di fraudolenta con altri artifici e non annotazione di false fatture. La differenza è grande: nel primo caso, non essendo stata superata la soglia di punibilità, l’imputato doveva essere assolto. I giudici di legittimità hanno confermato la condanna e rigettato il ricorso. Alla fine, rispetto al metodo presuntivo dei controlli evocato dall’imputato, la Corte ha confermato che i dati acquisiti sono certi, documentabili e suscettibili di essere incrociati per confronti dirimenti. Niente scuse, quindi, sembra dire la Corte all’imputato: lei ha gonfiato le schede carburante, frodando il fisco e falsificando i dati. E’ un reato e adesso paga.