I sindacati di Bpm contro la Banca d’Italia: “Fabbrica di poltrone”

Pubblicato il 2 Maggio 2011 - 12:27 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – La notizia è quella di qualche settimana fa: il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha invitato per iscritto la Banca Popolare di Milano a un aumento di capitale entro la fine di giugno. In più c’è stata anche l’ispezione in Bpm e i sindacati adesso accusano Bankitalia che vuole interventi del consiglio presieduto da Massimo Ponzellini.

Dopo 35 anni il direttore generale Fiorenzo Dalu ha firmato venerdì sera le dimissioni che saranno ratificate dal cda del 3 maggio. A sostituirlo sarà l’attuale condirettore generale Enzo Chiesa, che sarà nominato dal consiglio di amministrazione del 12 maggio.

Secondo quanto scrive Vittorio Malagutti sul Fatto quotidiano i retroscena sembrano essere piuttosto amari: “É un intervento studiato a tavolino per sfilarci la banca, per mettere fine alla storica autonomia di un istituto cooperativo slegato dalle logiche dei grandi gruppi”, lamentano gli autonomi della Fabi con le tre sigle di settore emanazione di Cgil, Cisl e Uil.

“L’aumento di capitale “monstre” da 1,2 miliardi richiesto da Bankitalia è solo il cavallo di Troia che serve ad aprire la strada ad azionisti forti, ad altre banche interessate a mettere le mani sulla Bpm. Questa la tesi dei sindacalisti. Peggio ancora: in un secondo tempo verrà abolita anche la forma cooperativa, quella che assegna un voto ad ogni socio, a prescindere dal numero di azioni che possiede….Sul tavolo c’è la questione dell’aumento delle deleghe, da uno a tre e in un secondo tempo a cinque, a disposizione dei soci non dipendenti in assemblea. Una riforma, quest’ultima, che allenterebbe il ferreo controllo sulle votazioni esercitato dai sindacati, in grado di mobilitare centinaia di azionisti che lavorano in banca. E poi, ancora più scottante, c’è la questione delle poltrone all’interno del gruppo. In sostanza, Draghi vorrebbe che la holding Bpm assorbisse le tre controllate Cassa di Alessandria, Banca di Legnano e Popolare Mantova. Un riassetto organizzativo che, secondo Bankitalia, servirebbe a tagliare i costi e ad aumentare l’efficienza. I sindacati, però, vedono come il fumo negli occhi la nascita di quello che è stato definito il “bancone”. Il motivo, a sentir loro, sarebbe che tre istituti distinti servono a salvaguardare il legame con il territorio, con le piccole imprese e i clienti privati”, ricostruisce il Fatto.

Facendo qualche conto viene fuori che Bpm è gestita da 18 amministratori, altri 15 invece sono ai vertici della Cassa di Alessandria. “La Banca di Legnano si affida a un board con 14 componenti e la piccola Popolare di Mantova, con solo una dozzina di filiali, può contare su 9 consiglieri. In totale si arriva a 56 poltrone a cui vanno aggiunti una ventina di sindaci. Se passasse la linea della Banca d’Italia, questo piccolo esercito di “nominati” finirebbe per ridursi di due terzi”.