Sovrattassa sugli “scudati” forse al 2/3%. Ma se poi quelli non pagano?

Pubblicato il 7 Dicembre 2011 - 14:50 OLTRE 6 MESI FA

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ROMA – Bisogna “togliere i privilegi” quindi sembra giusto iniziare da chi aveva nascosto i propri capitali all’estero per pagare meno tasse e che poi, dal 2001 al 2010, ha beneficiato di quattro condoni detti “scudo fiscale”. Sembra proprio una categoria di privilegiati col pedigree, e allora quando nel decreto “Salva-Italia”, la manovra di Mario Monti, è venuto fuori che sui capitali rientrati lo Stato avrebbe fatto pagare l’1,5% di imposta straordinaria, a molti è sembrato giusto. Giusto ma troppo poco.

A molti e anche a Monti, che infatti pensa di portare quell’1,5% al 2% o anche al 3%. Spinge in questa direzione soprattutto il Pd e nessuno apertamente si oppone. Ma succede che, 1,5, due o tre per cento che sia la percentuale di sovra tassa, la somma che pensa di ricavare, che viene messa effettivamente in bilancio, è calcolata sull’80% del totale degli introiti che si potrebbero avere dagli “scudati”. Questo perché viene calcolato un 20% che per un motivo o per l’altro non pagherà. Ma quel 20% è calcolo ottimista, per una serie di ragioni.

Come funziona lo scudo fiscale? Lo Stato, in cambio del pagamento di un 5% di imposte, agevola il rimpatrio o la regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali illegalmente detenute all’estero. La “dichiarazione di emersione” avviene in forma anonima e tramite un intermediario, che può essere una banca, una società fiduciaria, un agente di cambio. Il regime di riservatezza si applica anche ai redditi di capitale derivanti dal denaro e dalle attività finanziarie rimpatriate, realizzate anche successivamente al perfezionamento dell’operazione di emersione. Lo scudo fiscale prevede anche la non punibilità di reati tributari che prevederebbero pene fino a 6 anni di reclusione: omessa e infedele dichiarazione dei redditi; dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; falsa rappresentazione di scritture contabili obbligatorie; occultamento o distruzione di documenti; false comunicazioni sociali (falso in bilancio).

Viene siglato insomma un patto fra “scudato” e “scudante”, fra evasore fiscale e Stato. Un patto che viene rotto dalla tassazione straordinaria prevista dalla manovra di Monti. Non solo per il supplemento di imposta, ma anche perché nel caso lo “scudato” si rifiuti di pagare quel supplemento, perderà l’anonimato, come ha spiegato il viceministro dell’Economia Vittorio Grilli.

Ma in molti si rifiuteranno di pagare perché magari hanno beneficiato del condono del 2001 o del 2003 e nel frattempo i capitali “scudati” li hanno spesi. Perché possono impugnare il provvedimento che di fatto è una tassazione aggiuntiva retroattiva. O perché viene meno il vincolo di segretezza, anche se questa è una particolarità tutta italiana non prevista negli scudi fiscali decisi negli anni passati da Usa, Gran Bretagna e Francia. Vincolo di segretezza che, come spiega il Sole 24 ore, in realtà viene meno subito perché l’apertura e l’estinzione dei conti scudati deve essere comunicata all’Anagrafe dei rapporti finanziari. In pratica l’Agenzia delle Entrate disporrà dei dati senza dover neppure interrogare gli intermediari.

Un pasticcio, a conti fatti, che per ora fa calcolare a Monti un introito di 2,2 miliardi sui 2,7 effettivi risultanti dall’1,5% sui 182 miliardi di capitali “scudati” in 10 anni di condoni. Ma le entrate, il risultato finale di tutto il capitolo “tassare i capitali scudati”, potrebbero essere molto meno “equi” di quanto speri Monti e quel pezzo di sinistra che lo sostiene.