Governo fragile: Standard & Poor’s taglia il rating dell’Italia

Pubblicato il 20 Settembre 2011 - 00:55 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – A sorpresa, ma non troppo, Standard & Poor’s ha tagliato il rating dell’Italia. “Prospettive di crescita economica scarse e una coalizione di governo altrettanto fragile”: sarebbero queste, secondo quanto scrive l’agenzia di stampa Reuters, le motivazioni con cui una delle tre maggiori agenzie di rating ha abbassato il suo giudizio sull’affidabilità dell’Italia. Nello specifico, il rating italiano per l’agenzia è passato da A+ ad A.

Del resto, se il primo warning rate da parte di Moody’s era arrivato il 17 giugno scorso, quello di S&P era del 20 maggio.

“Dal nostro punto di vista, ha fatto sapere S&P in una nota riportata dal Telegraph,le prospettive di crescita economica dell’Italia si stanno affievolendo, e ci aspettiamo che la fragile coalizione di governo e le forti differenze politiche interne al parlamento continueranno a limitare la capacità del governo di rispondere attivamente ai cambiamenti interni ed esteri”.

Secondo il Wall Street Journal, la previsione di un downgrade aveva fatto crollare i titoli delle maggiori banche francesi esposte con l’Italia, fra cui Credit Agricole e Bnp Parisbas. Sulla stessa ondata di timori anche gli istituti bancari italiani, con Unicredit e Banca Popolare di Milano, avevano perso il 7% e Intesa Sanpaolo che aveva perso il 2,9%.

Standard & Poor’s è la stessa agenzia di rating che all’inizio di agosto aveva per la prima volta declassato gli Stati Uniti, negando la tripla A al debito americano. La decisione ha avuto subito i suoi effetti sull’euro, che ha perso circa il 5 per cento sul mercato asiatico, arrivando ad 1,36 per un dollaro. Questa bocciatura rating rafforzerà l’opinione negativa espressa da chi disapprova i giudizi in corso d’opera delle potenti agenzie di rating sulle misure economiche varate dai governi. Tuttavia sarebbe imperdonabile non valutare appieno il senso politico di tale retrocessione. “Il prezzo alto della decadenza” titola stamattina Il Sole 24 Ore in prima pagina, sottolineando il degrado e il declino della vita politica  ed economica del Paese come principali motivazioni alla base del declassamento. Da un punto di vista macroeconomico il mancato sostegno alla crescita è un fattore decisivo: era già fiacca, si è ulteriormente indebolita, minando la fiducia nel Paese a gestire il proprio debito sovrano. “Spetta al Governo e al Parlamento iniettare nel Paese non tanto spesa pubblica ma fiducia nel futuro per far ripartire l’economia”: è questo il fallimento della coalizione al Governo guidata da Berlusconi.

Il governo italiano, che accusa di pregiudizio politico la scelta di S&P’s, non si è accorto che tali scelte, in un contesto così drammaticamente mutato e accelerato dalla crisi finanziaria, si prendono senza indugi. L’outlook negativo (le brutte prospettive) espresso in maggio  valeva evidentemente  come un annuncio di declassamento, che a Roma si pensava, forse sperava, potesse essere differito in tempi più lunghi, 12 o 24 mesi. Speranza mal riposta, specie dopo non aver inviato ai mercati i messaggi che si attendevano, e anzi promuovendo un clima di accresciuta incertezza politica. Le tensioni nella maggioranza riflettono questo clima di impotenza di un esecutivo chiuso a testuggine intorno alla figura di un premier isolato, assediato, il cui obiettivo primario, vivere, lo persegue calibrando la distanza strategica dai portoni dei tribunali.