Meno soldi ai politici: illusioni e bugie. Tocca ai diritti acquisiti e ai salari

Pubblicato il 17 Maggio 2010 - 15:29 OLTRE 6 MESI FA

Il ministro Roberto Calderoli

E’ divertente e intrigante, giusto e pertinente chiedersi e chiedere come fanno Sergio Rizzo e Gianantonio Stella sul “Corriere della Sera” se lo sventolato taglio delle retribuzioni dei parlamentari riguardi la cosiddetta “indennità” che percepiscono o tutto lo “stipendio” che incassano. La differenza è tra cinquemila e quattordicimila euro. Domandare se pensano e parlano, per ora solo parlano, di tagliare del cinque per cento 5mila o 14mila è pertinente e per nulla pignolo. E’ istruttivo e civile chiedere, come fanno i due giornalisti, perchè il Senato della Repubblica in otto anni ha aumentato i suoi costi e le sue spese del 41,2 per cento e abbia rifiutato la misura adottata dal Quirinale e dalla Camera dei deputati di contenere l’incremento entro i parametri dell’inflazione, cioè l’1,5 per cento. E’ domanda civica e per nulla stizzosa o qualunqista quella relativa ai 90mila metri quadri di sedi, palazzi e uffici a disposizione presente e futura dei senatori: 280 metri quadri per ogni senatore. Il Palazzo di Largo Toniolo a Roma comprato dal Senato dalla società di un senatore in carica: 22 milioni. Il Palazzo di Santa Maria in Aquiro: 25 milioni di restauri e proprietà che resta alla fine all’istituto religioco che già incassa 400mila euro di affitto annuo.

E’ operazione di verità, oltre che di contrasto al trionfalismo del ministro Calderoli, calcolare e verificare che non si ha notizia concreta e prova provata del proclama ministeriale. Calderoli aveva detto in un’intervista a La Stampa: “Abbiamo segato 50mila poltrone negli enti locali, abbiamo tagliato gli stipendi dei consiglieri regionali: da 25mila euro al mese a 5.400”. Nei bilanci ufficiali di Regioni ed enti autonomi il taglio non risulta, non c’è. E, ovviamente, non c’è nemmeno negli stipendi tutt’ora pagati. E’ cosa sana e giusta contare i 38mila stipendiati nei consigli di amministrazione di società pubbliche. Società pubbliche che continuano a moltiplicarsi: nel 2009 sono arrivate a quota 7.106 con un incremento del cinque per cento. Quelle riconducibili direttamente ai Governatori delle Regioni sono 434. Sono società che Regioni, Province e Comuni “inventano” per aggirare le leggi che vietano di assumere altro personale, per piazzare ai loro vertici personale politico “trombato” alle elezioni. Società per gestire parcheggi e porti, società che se perdono soldi vedono le perdite ripianate dal denaro pubblico. Società che danno appalti. Appalti “politicamente” assegnati.

E’ cosa ovvia e per nulla maligna domandare ai leghisti che si intestano la primogenitura del “taglio” agli stipendi dei politici perchè la Lega si sia fieramente opposta all’abolizione delle Province e domandarsi se la fretta e l’impazienza di Formigoni di partire subito con il federalismo lombardo non sia anche l’urgenza di moltiplicare la velocità della “fabbrica di quelle società”. E’ civico e civile stupore quello che coglie quando si legge di Gasparri e altri che proclamano: “Versiamo tre mensilità”. Stupore di fronte alla rivendicazione orgogliosa della “beneficenza” degli eletti elargita ai governati. Roba da matti, offensiva per i governati, pazzesca la “confusione” tra etica pubblica e beneficenza.  Tutte cose sacrosante, ma sacrosanti trastulli. Trastulli rispetto alla quantità e qualità di quel che sta succedendo al mondo in cui fino ad oggi abbiamo vissuto pensando sia l’unico mondo possibile.

La quantità: Luca Ricolfi su La Stampa fa un calcolo semplice. La “politica”, tutta la politica, non solo quella degli stipendi dei parlamentari ma anche tutte le spese e sprechi e regalie della politica al milione circa di persone che di politica vivono e del suo “indotto”, costa quattro miliardi l’anno. Il cinque per cento di quattro miliardi, se si potesse “tagliare” tutta la politica del cinque per cento, fa 200 milioni di euro. E anche fosse un taglio del dieci per cento sarebbero 400 milioni. La manovra economica in arrivo è stimata in circa 28 miliardi. Quindi, se si togliesse alla politica un dieci per cento netto, resterebbero 27 miliardi e 600 milioni da trovare altrove. Quindi si tagli e per davvero e non per il cinque ma per il dieci e il quindici per cento il loro stipendio. E pure a furor di popolo. Ma il popolo non si illuda. Non solo perchè finora sono solo chiacchiere. Anche quando fosse realtà, sarebbe un ristoro al pubblico umore ma solo un  solletico al pubblico debito.

La qualità di quel che accade. Il premier francese, Francois Fillon, in un documento inviato ai suoi ministri ha scritto che andranno toccati: “gli automatismi e i diritti acquisiti”. E’ stato il primo a scriverlo, purtroppo non sarà l’ultimo. I diritti acquisiti, le abitudini. E i salari “nominali”. Non succede, anzi non succedeva dal 1930. Da ottanta anni i salari erano toccati dall’inflazione. Oppure penalizzati dal fatto che la nuova ricchezza prodotta veniva ripartita in parti sommamente ineguali. Fatta cento la nuova ricchezza, la rendita negli ultimi 25 anni se ne è presa 12 in più di quanto non è andato al salario. E’ la media dei paesi Ocse. Insomma i ricchi diventavano più ricchi, gli altri inseguivano a distanza sempre crescente, fino a “staccare” un gruppone di lavoratori dipendenti che lavorano sì ma guadagnano meno di un terzo del reddito medio: circa il 20 per cento. Ma “nominalmente” da ottanta anni i salari non si toccavano. Invece la Spagna li taglia oggi del 5 per cento, il Portogallo del sei per cento, la Grecia del 20 per cento, la Romania del 25 per cento. Storie drammatiche di paesi poveri o in difficoltà? No, la Francia sta per tagliare gli assegni familiari, la Germania non taglia le tasse, il neo governo conservatore inglese di Cameron si appresta a tassare del 40 per cento e non più il 18 i capital gain, sì la rendita da titoli di Stato e obbligazioni. E non è che l’inizio.

Inizio di una storia lunga e generale. Fmi e Bce hanno calcolato che il debito pubblico dei paesi europei e degli Usa crescerà per “inerzia”, tale è la velocità a cui viaggia, fino al 115 per cento del Pil e fino al 2015. Poi, per rientrare nei binari tollerabili del cento per cento sul Pil entro il 2030, le economie, i paesi e i popoli dei paesi europei e degli Usa dovranno sostenere, pagare manovre complessive pari al 9/10 per cento del Pil. Quindi dovranno smontare i quattro pilastri del nostro modo di vivere: grande settore pubblico e grande pubblica occupazione, Stato sociale che molto garantisce, grande evasione fiscale e grande indebitamento privato nei paesi anglosassoni. Meno posti e stipendi pubblici, meno sanità, previdenza e assistenza, meno aziende e botteghe che sopravvivono evadendo le tasse, meno consumi e acquisti a debito. Con la variante italiana, non piccola: meno miliardi in mano al ceto politico da distribuire sul “territorio”.

Chi può fare, chi può “reggere” tutto questo? Chi può “governare” la rottura di una cultura di massa che da sessanta anni almeno ritiene scontata, doverosa, insomma un diritto mantenere ciò che si ha e anzi “acquisire” almeno un po’ di più ogni anno che dio manda in terra? Destra, sinistra, centro…nessuno può farcela. Men che mai il ceto politico italiano cui la “gente” italiana ha assegnato e riconosce una sola missione: trovare e portare a casa, cioè sul “territorio”, geografico o sociale, il denaro pubblico. La nostra politica fa questo, questo le viene chiesto di fare: distribuire denaro. Il fatto che una quota di questo denaro resti attaccata alle mani dei “postini” è accidente spiacevole e scandoloso, ma minimo. La grossa sostanza è che non sanno fare altro. Solo la “gente” potrebbe fare e reggere tutto questo, pilotando e sopportando il cambio di vita, lo stare peggio dopo sessanta anni di stare meglio, con una ardua gradualità e una improbabile equità. Qualche “gente” potrà farcela, quella che ha un senso dell’identità e del destino collettivi. Forse i tedeschi, gli inglesi, gli americani…
Altri è improbabile che ce la facciano a “reggere”. Altre “genti” si ribelleranno ad ogni costo. Altri paesi sono come un’azienda che deve ristrutturare per non fallire, ma finanziereste voi un’azienda da ristrutturare, mettereste i vostri soldi in un’azienda i cui manager e le cui maestranze non vogliono e non sanno “ristrutturare”? I mercati, i maledetti mercati sono crudeli, avidi e speculatori, però hanno ragione: qualcuno non ce la farà perchè la sua gente e la sua classe dirigente giudicano intollerabile farcela.