Taiwan: il destino dell’isola e l’economia cinese

Pubblicato il 26 Maggio 2010 - 09:10 OLTRE 6 MESI FA

In una fabbrica debolmente illuminata, poco lontano da una strada di terra nel sud del Taiwan, Liao, Tsin e altre decine di operai danno la forma a scarpe di pelle. Prendono una scarpa da un mucchio per terra, la modellano grazie a un finto piede di plastica, la gettano in un secondo mucchio. Poi ricominciano l’operazione.

Questo tipo di fabbriche potrebbero presto scomparire. A Taiwan sono in molti a temerlo alla luce delle negoziazioni economiche tra Cina e Taiwan. Lo scopo delle trattative tra i due stati è creare una zona di libero scambio che potrebbe portate all’irruzione sul limitato mercato dell’isola dei beni a basso costo cinesi, dando un colpo di grazie alle industrie tradizionali.

Il governo di Taiwan sostiene che i benefici economici sorpasserebbero i costi. Inoltre, il presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, spera che l’accordo serva a normalizzare definitivamente le relazioni economiche con Pechino, agendo da volando per espandere gli accessi dell’isola ad altri mercati. «Possiamo gestire l’isolamento diplomatico – ha detto Ma il mese scorso – ma l’isolamento economico è fatale».

Le relazioni tra Taiwan e la Cina sono da sempre all’insegna dell’alta tensione. Solo pochi mesi fa l’annuncio che l’amministrazione Obama avrebbe venduto all’isola armi per il valore di sei miliardi ha rischiato di incrinare gravemente le relazioni Washington – Pechino. Ormai da decenni alcuni missili sulla costa della Cina sono puntati sulle principali città di Taiwan.

La scelta di uno spazio di libero mercato sullo stretto è una questione spinosa, perché tocca le corde di un conflitto, bellico prima, politico poi, mai risolto. Le concrete esigenze dell’economia hanno però portato a un cambiamento storico. Il movimento era già cominciato un anno fa, quando per la prima volta si è permesso ai cinesi di investire nelle aziende dell’isola, fino ad un tetto massimo del dieci per cento di una società locale. Gli accordi arrivano inoltre in un momento in cui il mercato dell’Asia dell’est è diventato particolarmente agguerrito. Da una parte l’espansione apparentemente infinita e inarrestabile del colosso cinese, dall’altra lo svilupparsi di accordi di libero scambio. In anni recenti, Taiwan ha visto un rivale come la Corea del sud firmare trattati in diversi paesi dell’Asia, aumentando il proprio prodotto interno lordo.

Il dramma di Taiwan è che il paese vive da anni una difficile situazione di isolamento economico. L’isola è ostacolata nella creazione di accordi commerciali dalla propria situazione diplomatica. Pechino rivendica l’isola come parte della Cina, e di fatto impedisce ad altri paesi di firmare accordi con Taiwan, perché questo potrebbe rafforzare le rivendicazioni di Taiwan sull’indipendenza. Fin dalla fondazione dello stato, Pechino ha dichiarato la sua indisponibilità ad avere relazioni diplomatiche con paesi che riconoscono Taiwan. La conseguenza è che il governo dell’isola ha relazioni diplomatiche con solo 23 stati al mondo. L’isolamento economico viene subito dopo quello politico. Taiwan ha accordi commerciali con solo cinque paesi, cinque stati latino americani che contano per una minuscola fetta delle esportazioni.

Per adesso i dettagli dell’accordo tra Cina e Taiwan sono ancora vaghi. Si è saputo però abbastanza per scatenare le preoccupazioni politiche. I principali partiti di opposizione si sono espressi duramente contro l’iniziativa e brandiscono in questi giorni la minaccia di un referendum. Timoroso dell’opinione pubblica, il governo ha perfino lanciato una campagna mediatica che include canzoni rap e pubblicità. Un dibattito tra il presidente Ma e il suo principale oppositore politico Tsai Ying-wen su questo tema è stato ampiamente seguito in televisione. Durante l’emissione, Ma ha accusato l’opposizione di non avere fiducia nelle compagnie di Taiwan ad adattarsi e competere, e, rivolgendosi ai cittadini, ha chiesto: «Sceglieremo la fiducia in se stessi o sceglieremo la paura?».