Monti: “Più tasse sui redditi finanziari”. Resterà un atto di indirizzo?

Pubblicato il 1 Marzo 2012 - 14:18 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Più tasse sulle cose meno sulle persone, più Iva e meno Irpef (e Ires, Irap ecc…): è l’atto di indirizzo del governo Monti per provare a ripartire diversamente i carichi della tassazione. Imprese, sindacati e lavoratori la giudicano positivamente, commercianti e non solo vedono di più il rischio di una contrazione dei consumi. La concentrazione di tasse sul lavoro, l’imposizione diretta, vale il 14,5% del Pil, più di noi fanno solo le socialdemocrazie del nord Europa. L’imposizione indiretta, principalmente l’Iva, ma anche tutte le altre accise, l’imposta di registro, catastale ecc.., incide per il 13,9% sul Pil. Ma nel piano del riequilibrio del sistema impositivo è contemplata anche la necessità di tassare i redditi finanziari. Capital gain, plusvalenze, tutto il complicato mondo delle transazioni finanziarie deve essere toccato. E’ giusto, ci mancherebbe, ma alla prova dei fatti le aliquote restano sempre più basse di quelle sui redditi da lavoro.

“Nell’ambito del processo di attuazione della riforma fiscale, saranno predisposti schemi di provvedimenti normativi diretti al riequilibrio del sistema impositivo, anche relativamente ai redditi finanziari, nonché alla riduzione degli effetti distorsivi delle scelte degli operatori economici e al graduale spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle dirette”. E’ un passaggio testuale dell’atto di indirizzo. Resterà nel quaderno delle buone intenzioni? Perché se un abbassamento dell’Irpef dipende dal tesoretto accumulato dal recupero dell’evasione fiscale e comunque in termini di maggiori detrazioni più che sforbiciata alle aliquote, l’ulteriore aumento dell’Iva è già disciplinato. E si continuerà a escludere, per esempio,  i soggetti stranieri non residenti che comprano, scambiano, vendono azioni, prodotti finanziari dall’attuale aliquota riformata del 20%? Se non lo si è fatto finora perché dovrebbe farlo Monti?