Thailandia: L’inferno di Bangkok minaccia di congelare gli investimenti stranieri per anni

Pubblicato il 19 Maggio 2010 - 18:10 OLTRE 6 MESI FA

Alte colonne di fumo si ergono dal centro di Bangkok

L’inferno che si è scatenato a Bangkok nelle settimane scorse minaccia di congelare gli investimenti stranieri per anni, azzoppando un Paese la cui economia era tra le più dinamiche della regione ma che ora sta retrocedendo a vantaggio di rivali come il Vietnam, a quanto scrive l’Associated Press.

Alcune compagnie che possono trasferire le loro attività facilmente – come nel settore servizi o manifatturiero leggero – hanno già cominciato a lasciare il Paese, e investitori più a lungo termine stanno seriamente valutando la possibilità di non effettuare nuovi impegni. L’atteggiamento del mondo degli affari verso la Thailandia sta subendo un cambiamento di vaste proporzioni.

”Le aziende stanno ora valutando seriamente se è il caso di fare nuovi investimenti in Thailandia. L’atteggiamento è cambiato da quando il Paese era visto come un posto accogliente ed attraente” dice Jacob Ramsay, analista del Sudest Asiatico alla Control Risks, un azienda di consulenza politica a Singapore.
Stanno seriamente studiando la situazione per cercare di prevedere cosa potrà accadere nello spazio di un paio di mesi”, dice Ramsay. ”Ed è quello che stanno facendo tutti, dall’industria manufattriera leggera a quella pesante”.

L’industria turistica – già malconcia dopo tre anni di proteste sempre più violente da parte degli indigenti contrastati dalle classi medie – è attualmente in ginocchio, con alberghi a cinque stelle e centri commerciali tra i più eleganti in Asia chiusi dallo scorso aprile, quando è cominciata la protesta delle Camicie Rosse, che si è estesa fino ad occupare 3 km quadrati del distretto commerciale di Bangkok.

Il turismo, che rappresenta il 6 per cento dell’economia thailandese, la seconda per importanza nella regione, può riprendersi se la violenza finisce, ma la fiducia degli investitori nella Thailandia ha ricevuto un colpo dal quale potrebbe essere difficile riprendersi.

Gli esperti dicono che l’attuale crisi è molto peggiore delle precedenti: scontri tra attivisti e militari nei primi Anni Settanta e una rivolta per chiedere più democrazia a Bangkok nel 1992. Preston Chang, un taiwanese che esporta frutta in scatola dalla Thailandia, afferrma che gli ultimi eventi hanno già danneggiato l’immagine della Thailandia. ”Il popolo Thai è sempre stato considerato amichevole, sorridente e comprensivo, e la Thailandia politicamente stabile”. Aggiunge: ”Le precedenti proteste non sono state così sanguinose come questa. Stavolta il sangue versato danneggerà la fiducia degli investitori stranieri”.

Le Camicie Rosse dicono che il governo del premier Abhisit Vejjaija è illegittimo e rappresenta gli interessi di una elite indifferente nei confronti dei diseredati urbani e rurali. I semi della discordia sono stati piantati dopo il golpe del 2006 che estromise il premier Thaksin Shinawatra, un miliardario delle comunicazioni trasformatosi in politico populista rifugiatosi all’estero dopo essere stato trovato colpevole di corruzione. Seguirono conflitti e violenze.

L’elezione di un nuovo governo fedele a Thaksin nel 2007 scatenò nuove violenze, questa volta da parte delle Camicie Gialle – le ”avanguardie” dell’establishment – che si scontrarono con le Camicie Rosse, paralizzando la capitale. Il governo pro-Thaksin fu disciolto dalla magistratura, sostituito da Abhisit, e tornò una relativa calma, ma sotto la cenere bruciavano carboni ardenti.

Nessuno sta dicendo – scrive l’Associated Press – che colossi come la General Motors o le conglomerate industriali giapponesi, che hanno investito diecine di miliardi di dollari in fabbriche e progetti industriali, leveranno le tende da un giorno all’altro. Ma le aziende che possono farlo stanno già riducendo le loro attività, mentre sta diventando sempre più arduo giustificare altri investimenti in Thailandia.

Nell’attuale situazione, dicono gli analisti, in assenza di un chiaro segnale che l’instabilità degli scorsi anni è terminata, l’entusiasmo di investire nella Thailandia continuerà a diminuire.