Valletta dava la Befana agli operai: Accornero lo confronta con Marchionne per Tonia Mastrobuoni del Riformista

Pubblicato il 31 Dicembre 2010 - 09:02 OLTRE 6 MESI FA

Tonia Mastrobuoni ha fatto fare dal sociologo Aris Accornero, sul quotidiano Il Riformista, un confronto fra la Fiat di oggi, quella di Sergio Marchionne, e quella  di Vittorio Valletta.

Il confronto è un po’ forzato, perché quelli di Valletta erano anni di espansione di un monopolista in un mercato protetto e questi sono anni di perdita e di ritirata di un ex monopolista che non ha saputo adattarsi al mercato mondiale e alla concorrenza globale.

L’intervista perde poi l’interrogativo centrale che incombe sulla Fiat di oggi: cosa vuole farne Marchionne? Svuotarla per finanziare la sua creatura Chrysler quando i finanziamenti del Governo americano saranno finiti e ridurre gli stabilimenti italiani alla stregua dei polacchi?

Accornero sembra qui confrontato da un’ombra, il dubbio che forse l’odiato nemico di mezzo secolo fa non fosse così orco come il clima di quegli anni portava il Pci a a dipingere: erano gli anni, nota Tonia Mastrobuoni, del cosiddetto “paternalismo autoritario”, quando in Fiat vigeva una ferrea disciplina e si cacciavano i comunisti. Ma quando era anche l’azienda di una fiera élite operaia.

Dice oggi Accornero: «C’era un abisso negli anni di Valletta, tra gli operai che avevano la Malf, la “Mutua aziendale lavoratori Fiat” e tutti gli altri, costretti ad andare negli scassati ambulatori pubblici». Se Valletta dimezzò a metà degli anni Cinquanta il peso della Fiom «non fu solo con il bastone ma anche con la carota». La Fiat era allora «un’azienda molto munifica» che regolava la vita degli operai anche fuori dalla fabbrica con la mutua, lo sport, le colonie e «un rito indimenticato come la Befana». Oggi Marchionne, in cambio dei sacrifici,«non offre nulla». Ma anzi «stravolge la tradizione non solo italiana, ma europea, delle relazioni sindacali».

Di Valletta, nota Accornero, non bisogna ricordare solo l’aspetto autoritario, la gestione quasi militaresca dell’azienda. Altrimenti non si comprende la famosa disfatta della Fiom che nel 1955 crollò dal 64 al 37 per cento dei suffragi e due anni dopo addirittura al 21 per cento. Per convincere gli operai a desistere dalle mobilitazioni della Fiom «esisteva il premio di collaborazione, detto “di produttività”. Era un premio “per chi non faceva sciopero, non dato quindi a chi faceva qualcosa ma a chi non faceva qualcosa”.  Contrariamente alle ricostruzioni «un po’ unilaterali» di questi giorni, la cosa che più distingue quegli anni dall’oggi «non è il volto cattivo di Valletta, bensì il contrario. Rispetto ad oggi Fiat era un’azienda molto munifica. La mutua Fiat è stata rimpianti per decenni, a Torino. Il Lingotto assicurava ai suoi lavoratori un sistema sanitario equivalente a quello pubblico: ci si andava a curare negli ambulatori Fiat».

Scrive Mastrobuoni: “Il disegno di Valletta, definito da lui stesso di “socialcapitalismo”, era quello di allettare le mestranze e convincerle a deporre le armi anche attraverso logiche premiali. Istituì un “premio di fedeltà” per gli ultrasessantacinquenni con 35 anni di lavoro alle spalle, costruì case di riposo, moltiplicò gli asili nido, «le provvidenze erano parecchie, c’era anche il gruppo sportivo, addirittura la Befana dei dipendenti». Valletta rafforzò l’aspetto “welfaristico” dell’impresa. Il risultato fu anche che «tante cose cementarono il senso dell’appartenenza all’azienda degli operai, ed erano anche una grande pubblicità per l’azienda»

Oggi «Marchionne promette solo che, se i lavoratori saranno buoni, riceveranno aumenti in busta paga. Riconosciuti, oltretutto, attraverso sgravi fiscali sugli straordinari. Insomma, è la fiscalità generale che sta pagando i sacrifici chiesti dall’amministratore delegato».  L’aziendalismo di Marchionne «è solo quello di lacrime sangue, invece».

Accornero appiattisce un po’ la prospettiva, glissando sul fatto che tra Valletta e Marchionne c’è stata una mezza rivoluzione che ha avuto dal Pci, il partito di Accornero, molto propellente, c’è stato il terrorismo che hanno sfiancato l’azienda e hanno contribuito, insieme con l’effetto serra del monopolio sull’Italia, a farle perdere capacità competitiva proprio nel momento in cui il mercato si apriva alla concorrenza europea (e per fortuna loro un mai abbastanza commemorato e quasi del tutto dimenticato dirigente dell’era Valletta ottenne il blocco delle importazioni giapponesi che in larga misura si può dire abbia salvato la Fiat).

I tagli al welfare aziendale sono figli non della crudeltà di Marchionne ma del realismo di Vittorio Ghidella e di Cesare Romiti, di fronte a una verticale crisi di vendite della Fiat negli anni ’70.